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Guidare richiede un esercizio zen al giorno. Almeno. Succede nella città delle biciclette e anche nelle grandi metropoli, dove cambia giusto l’entità degli ingorghi e il chilometraggio delle distanze. Tuttavia la maleducazione, o se è più d’effetto la mala educaciòn, è il trait d’union tra la dimensione provinciale e quella metropolitana, l’elemento comune, il collante di scorribande villane e prepotenze innegabili, che rivelano l’uomo per quello che è: un barbaro. Bardato da cafone o firmato dalla testa ai piedi non fa differenza. E’ un troglodita, che la strada sa scatenare facendogli mettere in scena le peggiori performance di cui è capace. In proposito c’è un’inesauribile bibliografia cinematografica, ma il mio pezzo preferito è quello di Nanni Moretti ne “La messa è finita”, il parcheggio è l’espediente su cui è stata costruita una delle scene più descrittive di un’epoca a quattro ruote. Alle rimostranze del sacerdote, la bestia in giacca blu che gli ha soffiato il posto, scende dall’auto e tenta di affogarlo in una fontana. Tempi moderni, per carità. Però basta.

E’ ora di farla finita con i piccoli gesti di prepotenza, perché danno la stura a quelli più grandi fino a divenire la cifra stilistica di un esercito sempre più vasto e rozzo. La maleducazione si trasmette con l’intensità del virus, incurante dell’età. E quando trova un focolaio ci dà dentro di brutto. Piazza Ariostea, in questo, è davvero un esempio per l’ammucchiata di auto parcheggiate anche in tripla fila, per la scortesia e la distrazione di chi lascia il suo posto in mezzo alla strada senza nemmeno guardare lo specchietto retrovisore. Problemi di chi transita. Pensavo però che la questione fosse più seral-pomeridiana, invece no. Il focolaio è sempre attivo fin dal mattino, meglio di un pronto soccorso.

Stavo facendo marcia indietro per infilarmi nel parcheggio di fronte al loggiato dei caffé, quando a metà manovra mi blocco per l’assolo di clacson, guardo lo specchietto e vedo un macchinone chiaro infilarsi di gran carriera al mio posto. Retrocedo, abbasso il finestrino e gli faccio presente la situazione. Risposta. “Ah, ma io giro da mezz’ora”. Spiazzante. Replica: “Mi spiace, ma è una scorrettezza”. Lui: “Pazienza”. Io: “Maleducato”. Lui: “Va bene”. Va bene? Manco per niente. Avrà avuto 60 anni suonati, forse qualcosa di più. Alla faccia del cavalierato, quando s’incontrano gentleman di tanta raffinatezza si resta di sale e io mi sono sentita anche “babbiona” per aver usato quell’aggettivo fuori tempo, da vocabolario, quando potevo strillargli suo muso il mio “vaffa” più colorito, da camallo, un genere di gran moda. Son certa che avrebbe capito il mio punto di vista. Invece sono rimasta lì con la mano stretta intorno cambio, in preda alla voglia di trascinarlo alla fontana (purtroppo è solo una fontanella) e di mitragliargli il macchinone. Lo ammetto, la barbarie è contagiosa. Soprattutto se fanno di tutto per tirartela fuori.

Ho parcheggiato in uno stallo a una decina di metri da quello scippato, nell’uscire sono rimasta intrappolata tra due suv – vettura utilissima in una città di pianura – entrambi volevano infilarsi al mio posto, ma senza spostarsi per evitare di perderlo. Un braccio di ferro tra giganti. Forse pensavano guidassi un elicottero capace di alzarsi in verticale. Dev’essere la piazza a scatenare la “mala guida” o meglio la “mala sosta”, è un fatto conclamato oramai da anni. Un evento metropolitano appunto. Di mala educaciòn tollerato anche dai vigili urbani, che cinquecento metri più avanti multano anche chi pensa di sostare dove non può. Anche questo un segno dei tempi, naturalmente. Però basta.

…E a proposito di parcheggio [vedi spezzone dal film “La messa è finita di Nanni Moretti”]

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Monica Forti



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