A me questa storia del burkini lascia molto perplesso. Il divieto introdotto da alcuni sindaci francesi lede il diritto di quelle donne che coscientemente scelgono di indossarlo. Dice: ma sono condizionate, subiscono la pervasività dei precetti religiosi. Bene. E noi siamo invece privi di condizionamenti? Le donne occidentali che ‘scelgono’ costumi fatti da ‘fili interdentali’ per esibire le proprie forme non sono forse indotte dalle mode correnti? Fa bene “la Stampa” a proporre una fotogallery di quando erano le nostre nonne a indossare in spiaggia paramenti simili al burkini, senza destare alcuno scandalo, perché quella era la norma…
L’emancipazione è un prodotto della libertà, non la si promuove attraverso obblighi e divieti. La libertà non si impone.
A qualcuno le polemiche di questi giorni possono apparire eccessive. E’ vero, c’è esagerazione su tutti i fronti. Ma il fatto offre l’occasione per puntualizzare alcuni concetti forse non proprio scontati. L’elemento di discrimine da adottare in casi come questo sono gli eventuali problemi di ordine pubblico. Ma il burkini non viola alcuna norma. Al contrario, il burka sì che pone
problemi: occulta il viso e dunque l’identità. Impedisce il riconoscimento di chi lo indossa (e quindi l’attribuzione delle responsabilità relative alla condotta) e falsa la comunicazione interpersonale generando un’asimmetria fra gli interlocutori, perché una piena comprensione del messaggio implica la considerazione del duplice canale espressivo (verbale e non verbale), che il burka cela, poiché maschera il volto.
La vicenda burkini, inoltre, genera ambiguità pericolose rispetto a ciò che è lecito, discrezionale, obbligatorio. Ancora una volta ripropone infatti il modello occidentale come unico paradigma di riferimento: ci sentiamo sempre noi (europei, bianchi, maschi, cristiani o Wasp) l’ombelico del mondo. E sulla base di
questo presupposto abbiamo fatto (e tuttora combattiamo) le nostre crociate: quelle armate, quelle di ‘genere’ e quelle ideologiche…
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Sergio Gessi
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