Da: Movimento 5 Stelle
Divampa la polemica dei buoni spesa destinati ai profughi utilizzati impropriamente da altri soggetti per acquistare beni di tutti i tipi alla Coop. È un tema complesso, proviamo a fornire alcuni chiarimenti e a proporre qualche riflessione critica.
Innanzitutto: perché le strutture di accoglienza distribuiscono buoni spesa?
Sgombriamo il campo da equivoci: non hanno nulla a che vedere con i 2,50 euro al giorno per migrante che vengono corrisposti per le piccole spese in contanti.
I buoni spesa vengono invece distribuiti per il vitto, quando manca la mensa interna e per l’acquisto di abbigliamento ai cambi di stagione.
Tutti questi costi sono ricompresi nei fondi destinati all’accoglienza, i famosi 35 euro a individuo.
È del tutto evidente che il mercato dei buoni spesa non dovrebbe esistere e il Direttore stesso di Camelot ne stigmatizza la diffusione, ma dal 2006 ad oggi non è stato in grado di intervenire sulla natura dei buoni spesa, né di ampliare gli esercizi aderenti, né di proporre soluzioni diverse.
La prima grave anomalia di questo sistema è che l’unico beneficiario dei buoni spesa è Coop, che si trova ad esercitare un monopolio assoluto di tutte le risorse pubbliche destinate all’accoglienza a Ferrara; devono essere coinvolte altre realtà, altri attori dell’economia del territorio.
In Val Camonica, provincia di Brescia, ad esempio, i Comuni hanno stipulato accordi coi negozi di vicinato per fare in modo che gli acquisti per le strutture di accoglienza vengano fatti lì, generando una ricaduta economica sul territorio.
Seconda questione è scoraggiare il mercato nero. La soluzione è molto semplice: i buoni devono diventare nominativi, spendibili unicamente dal beneficiario. Coop verifica l’identità di chi intende fruire della propria carta fedeltà, allo stesso modo potrà tranquillamente controllare anche l’identità di chi spende il buono e così potrà fare ogni altro esercizio aderente al progetto. Va inoltre limitata e mirata la spendibilità del buono verso alcune merci ben definite, ad esempio generi alimentari e vestiario, anche convenzionandosi con associazioni che operano sul territorio per il bene comune (pensiamo ad esempio al mercatino ADO, per il vestiario) per fare sì che le risorse tornino in circolo per la collettività.
Non è così importante quanto ampio sia il fenomeno, l’accertamento richiederà tempo. Piccolo o grande che sia, Camelot non può limitarsi a riconoscere la propria impotenza di fronte a questa pratica odiosa: ha l’obbligo civile e morale di fermarlo trovando soluzioni, che sono peraltro molto più semplici di quello che si vuol par credere. Pare impossibile che l’unica realtà che si occupa di accoglienza a Ferrara da tanti anni, anch’essa in regime di monopolio di fatto, e gestisce risorse della collettività per milioni di euro prendendo in carico migliaia di migranti, abbia generato un sistema così lacunoso.
Non è neanche detto che sia indispensabile ricorrere ai buoni spesa: nel trevigiano, ad esempio, non si utilizzano buoni spesa, i centri di accoglienza provvedono pasti e vestiti autonomamente approvvigionandosi nei diversi negozi del territorio, o recuperando i generi alimentari in scadenza.
È evidente quindi che se davvero si volesse affrontare il problema con spirito costruttivo, virtuoso e in piena trasparenza, ampliando anche la platea di attori in gioco, le soluzioni semplici ed immediate ci sarebbero, eccome. Ci attiveremo nelle sedi opportune nei prossimi mesi affinché questo accada.
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