Skip to main content

Alice:
Buongiorno prof,
le scrivo perché so di essere ascoltata e perché probabilmente nessuno meglio di lei in questo momento può capirmi. L’attesa è molto peggio dell’azione. Noi ragazzi continuiamo a brancolare nel buio, non sappiamo di che morte dobbiamo morire; continuiamo ad aspettare risposte da febbraio. Mi mancano le aule, gli atri, i corridoi. I miei ritardi brevi, che stavo ormai collezionando attentamente dalla prima. Mi mancano i cambi d’ora, le ore buche, ma anche l’ansia di un’interrogazione a tappeto. Mi manca pensare “quanto mi mancherà tutto questo”.
Non avrei mai pensato mi mancasse così tanto il liceo ancora prima di finirlo, forse mi manca proprio, perché mi è stato portato via prima del previsto. Eppure, sembra che cinque anni non siano abbastanza per darci una valutazione completa: il sistema esige un esame conclusivo.
Ho chiesto a molti miei amici che cosa ne pensassero della didattica online e i risultati sono tutti pressoché simili: i maturandi dicono no, gli universitari dicono sì. La risposta che mi sono data, considerando il risultato, è stata molto semplice in realtà. L’ambiente universitario ha un modus operandi completamente diverso dalla scuola superiore, l’autonomia è un’esigenza, mentre alla scuola superiore è semplicemente una qualità aggiuntiva. Su alcuni social, sono state aperte pagine che rifiutano la maturità 2020 e con le quali, personalmente mi trovo in completo accordo. Non per l’esame in quanto tale, ma per quello che sta diventando. Un unico orale ridotto a brandelli e che è solo la parodia dell’esame di stato, eppure non sia mai, non ci si può rinunciare.
Spero che la scuola, una volta per tutte glorifichi quello che siamo e che siamo stati da cinque anni a questa parte e che, se proprio dobbiamo farlo, abbia più importanza del nostro orale claudicante.
Non so più in cosa sperare, scusi il disturbo, le auguro una buona giornata, a domani.

Roberta:
Cara Alice,

sei stata ascoltata. Dal Miur arrivano ormai quotidianamente ordinanze, voci, sussurri e grida. Direi che è più di una voce il meccanismo del voto, che sarà in centesimi, ma con i pesi capovolti: peso del curricolo nel triennio fino a 60 punti e peso del colloquio d’esame fino a 40. Rischiate poco. Una sorta di garantismo più o meno palpabile farà sì che usciate poco segnati dalla esperienza dell’esame. Ti manca, però, l’ambiente della scuola. Senti la mancanza dei piccoli riti di ogni giorno, sia i tuoi (ahimè, i piccoli ritardi), sia quelli collettivi e piuttosto antichi che chiami ‘interrogazione a tappeto’ (dove l’idea di ‘strage’ regna sovrana). Se interpreto bene la parte in cui dici che ti manca il liceo perché ti è stato portato via prima del previsto, vorresti averlo assaporato fino in fondo, esame compreso. Lo accetteresti come un rito di passaggio che fa paura, ma al tempo stesso vi marchia e vi promuove a una fase più adulta della vita; e come te lo affronterebbero molti tuoi compagni. Lo vorresti regolare. Con tutte le sue fasi. Tu che ami scrivere, vorresti affrontarla la sfida degli scritti, vorresti svelarti. A che scopo allora ridurre tutto ad un esamino? Resta il rischio, resta la paura prima di affrontare il colloquio, ma si annulla ogni sentore epico. O tutto o niente. Finiamola così, con uno scrutinio. Me ne avevi fatto cenno e io ci ho riflettuto. Sento che hai ragione. Sarebbe plausibile che ad una emergenza tanto carnevalesca corrispondessero soluzioni altrettanto decise e radicali. Su questa spinta, ti dico che potrebbe anche essere modificato il calendario scolastico. Potremmo accorciare la lunga pausa estiva, per esempio. Potremmo modificare, oltre ai tempi, anche i metodi dell’attività didattica. Ricorderai le tante volte in cui la rigidità dell’orario scolastico è stata un impaccio alle nostre iniziative fuori dalle mura della scuola. Torno all’esame che dovremo affrontare, ognuna di noi due nel suo ruolo. Sono aggiustamenti, Alice. Svolgere un colloquio davanti ad una commissione di soli docenti interni con un presidente esterno è un aggiustamento; non sappiamo ancora con certezza se da remoto o ‘in praesentia’. Lo voglio dire così, con l’espressione latina che mi fa assaporare fino in fondo il piacere, almeno quello, di vederci mentre parliamo. Spero almeno di varcare la soglia del liceo per un po’ di giorni, quelli così luminosi di giugno. Spero che potremo  vederci e giocare con gli sguardi e sorriderci per darci accoglienza reciproca. Vorrei sentire il profumo che avete messo per l’occasione, percepire le vostre mani sudate. Questo colloquio salverà il valore legale del vostro esame, almeno credo. E se ripenso alla mia carriera, non è certo  la prima volta che sono chiamata a riempire di senso un’esperienza che sulla carta sembra averne poco. Vedi, anch’io vado per aggiustamenti, mi assesto su alcune sfumature di grigio, laddove tu opti per il bianco o per il nero. Non ho da un pezzo la tua età, ma l’ho avuta e ne ricordo bene il paesaggio interiore. Voglio dirti con questo che eserciteremo insieme il nostro senso critico verso quello che siamo chiamati a fare, ma lo faremo. Ce la faremo.

P.S. Domani, mentre siamo connessi, ne parliamo anche con i tuoi compagni

Su questo stesso quotidiano leggi anche: 
PANDEMIA E CLAUSURA di Loredana Bondi
BUONGIORNO RAGAZZI, SIETE CONNESSI? di Alice & Roberta

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

tag:

Alice & Roberta



Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it