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Ada, dal tuo background emergono interessi e dinamiche editoriali apparentemente eclettiche: tra nuovo fantastico popolare e sociologia persino sociocibernetica, uno zoom?

In realtà, in termini ideologici e di analisi culturale sono abbastanza diffidente rispetto al fenomeno sociologico della crescente diffusione del “fantastico popolare”, che sarebbe più corretto definire “fantastico commerciale”. Si tratti di fantasy, fantascienza o storia romanzata, in molti casi non siamo di fronte a null’altro che al saccheggio di un materiale mitico più o meno travisato, mal digerito, spesso addomesticato – e non di rado cambiato di segno in omaggio ad una political correctness del tutto contemporanea! – per creare prodotti culturali di largo e pronto consumo: film, videogiochi, fumetti, romanzi-spazzatura, serie televisive… Di questo mi interesso come sociologa dei consumi: per constatare come si tratti di un fantastico che non esorta più a divenire ciò che siamo – o meglio ancora a divenire più di ciò che siamo – ma semplicemente a fornirci un simulacro dolciastro delle vere imprese, delle grandi emozioni, dei sentimenti violenti e dell’avventura che siamo troppo decadenti, come individui e come società, per vivere nel mondo reale. Da tale considerazione nasce anche il mio tentativo di contribuire a una riappropriazione del vero fantastico popolare: quello che non mette insieme in un minestrone hollywoodiano supersoldati americani, dèi norreni e miliardari cardiopatici con esoscheletro affinché il coach potato globalizzato si senta solleticato per un attimo nel tedio di una vita insignificante, ma che ci parla delle tradizioni e della visione del mondo dei popoli cui apparteniamo.

Più nello specifico, una reinvenzione di certa Tradizione e una futuristica radicale, ma anche nel Presente, esatto?

Nietzsche diceva: “L’avvenire apparterrà a chi avrà la memoria più lunga”. Naturalmente, l’attualità oggi appartiene all’Ultimo Uomo, al protagonista della fine della storia, che saltella schiacciando l’occhio su un pianeta che diventa sempre più piccolo, alla ricerca della sua piccola felicità individuale. Ma se un avvenire ha ancora da essere, non potrà che appartenere a chi saprà coniugare le radici più profonde (la tradizione) con il futuro più grandioso (il progetto) attraverso l’impegno culturale, artistico, metapolitico nel presente.

Secondo te saranno possibili un consumo e una società edonistica più epicurei nel futuro?

Epicuro era il filosofo di una civilizzazione ellenistica al crepuscolo e già marcata dalle infezioni che qualche secolo dopo ne determineranno il crollo. La società consumistica contemporanea non è però una società davvero dedita al piacere, che deriva solo dalla ricerca del sublime, e alla gioia. Queste sono sensazioni forti e peccaminose, guardate con sospetto dalla mentalità pavida, egualitaria, remissiva di chi – come dicevo – è incline soprattutto alla ricerca elusiva di una piccola mediocre felicità individuale, intesa essenzialmente come assenza di minacce o stimoli negativi, magari da estendere buonisticamente al prossimo, indipendentemente da cosa tale prossimo ne possa pensare. Naturalmente è possibile il ritorno a un atteggiamento al tempo stesso più tradizionale e più futurista, e certo non necessariamente ascetico, pauperista o decrescentista, in cui la vita ha un senso non di per sé ma per quello che uno riesce a farne, e anche l’ebrezza, l’eccesso e il potlach hanno il loro posto.

E come vedi il tanto discusso futuribile Transumanesimo?

Se capisco bene, il transumanesimo è l’idea secondo cui l’uomo possa e debba far uso degli strumenti che la tecnica via via mette a sua disposizione per superarsi e accrescere la propria capacità di plasmare se stesso e il mondo in cui vive. In questo senso non solo costituisce da sempre l’essenza di ciò che essere “umani” rappresenta, ma anche la vera caratteristica identificante di quella che Spengler chiamava non a caso “civiltà faustiana” – che oggi giunge al capolinea, ma di cui siamo gli eredi e che possiamo, se lo vogliamo, trasfigurare in un’era postumanista e letteralmente postumana.

È possibile anche un’arte transumanista?

Come dice Stefano Vaj in “Biopolitica. Il nuovo paradigma”, “l’unica cosa che sappiamo con certezza del futuro della nostra specie e della nostra razza è che esso si trova di fronte a noi. Sappiamo anche che non esiste possibile “ritorno al passato”. Può esserci solo un ritorno (propriamente: l’Eterno Ritorno) di ciò che in passato ci ha consentito di affrontare sfide nuove e affermare noi stessi. La nostra inquieta esplorazione del mondo, le tecniche che ne discendono, ci condannano a delle scelte, ci offrono dei poteri, ma non possono dirci cosa farne. Questo non appartiene agli ingegneri o agli scienziati o ai giuristi, ma agli “eroi fondatori”, ai poeti, e alle aristocrazie che sanno tradurre in atto l’oscura volontà collettiva della comunità popolare da cui emanano, costruendole monumenti destinati a sfidare l’eternità, lasciando dietro di sé una gloria che non muore”. Wagner, d’Annunzio o Marinetti non sono naturalmente la stessa cosa di Omero, ma se siamo davvero uomini in transizione verso un futuro postumano è solo la creazione artistica nel senso più ampio e collettivo del termine che potrà darcene la motivazione e la direzione e prima ancora l’immaginazione… fantastica. E si ritorna alla prima domanda di questa intervista.

ada cattaneo
Un ritratto di Ada Cattaneo

Ada Cattaneo, da Milano. Laureata in Filosofia all’Università Cattolica, formatasi alla scuola sociologica di Vincenzo Cesareo e poi a quelle sociologiche e socio-economiche di Francesco Alberoni e di Gianpaolo Fabris, con i quali ha collaborato tanto in università quanto nelle loro società di ricerca e consulenza. Docente di tendenze socioculturali, consumi e comportamenti dei consumatori presso l’Università IULM e di sociologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Giornalista, ricercatrice e consulente, scrittrice ed esperta di leggende e tradizioni.

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Roby Guerra



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