Il modello – linguaggio squisitamente psicologico – junghiano approfondisce sincronicamente…
l’anima futurista globale e la cosiddetta cibercultura contemporanea, quest’ultima nei suoi profili
più elevati: il futurismo, attraverso Jung e seguaci, si può specchiare nel proprio “sonar”, lo
zeitgeist. Dopo Jung, Hillman, von Franz e l’italiano Carotenuto, lo stesso Stefano Zecchi, il
futurismo affiora dagli strati più sotterranei dell’inconscio collettivo o sociale, e dal simbolo di cui
l’opera d’arte è corpo, abito, striptease e “divinità”.
In alcuni fondamentali sguardi futuribili (“Su cose che si vedono nel cielo” e “Presente e Futuro”),
Jung narra l’archetipo dei tempi moderni, “parlato” dalle macchine e dagli artefatti tecnologici.
Il Sé psichico, totalità coscienza-inconscio nella psicologia di Jung, è quasi incarnato dai nuovi
simboli dell’Automa e dell’Alieno, del Robot e della Fantascienza, tecno-oracoli dell’era
industriale-informatica, nuova mitologia dell’età scientifica: e la Grande Madre diventa la
Macchina, il Vecchio Saggio – l’Androide o il Cyborg, il Fanciullo Divino . il Futuro…
I futuristi non a caso esplorarono la mutazione moderna degli archetipi e del mito in oggetti tecnologici (l’estetica della macchina), scoprirono nell’arte e nella vita, con gran coraggio e intuizione i movimenti nuovi delle pulsioni eterne (archetipi) che – secondo Jung – plasmano geneticamente gli umani.
Jung in “Psicologia e poesia” differenzia inoltre tra arte psicologica e arte visionaria, l’una più
interconnessa all’inconscio personale (freudiano), l’altra ispirata all’inconscio collettivo scoperto
dallo stesso Jung: in ottica più culturale si tratta dell’Es della psicoanalisi “classica”, memoria
inconscia della tradizione cristiana e ebrea, e del regno pagano degli archetipi, olimpici in
particolare dopo – in particolare la “revisione” di Hillman.
Questa psicologia dell’arte postjunghiana può disvelare preziosamente la peculiare tensione mitica
esplicita nel futurismo e Marinetti, già sottolineata sorprendentemente da Joly nell’aurora stessa
dell’avanguardia italiana (come riporta De Maria in “Marinetti e il futurismo”, più recentemente lo
stesso Riccardo Campa in “Trattato della filosofia futurista”).
E’ il Novum moderno nascente, ma ancora celato, a sprigionare la violenta energia futurista,
l’invenzione dell’avanguardia stessa, fanciullo divino-terribile, messaggero dell’Uomo Nuovo e
della Nuova Era: Jung suggerisce, attraverso il mito moderno, la nuova immaginazione scientifica
in connessione con l’istinto primordiale (originario, originale…), danza metaforica tra neopallio e
archeopallio: “Noi siamo i primitivi di una civiltà sconosciuta”, diceva… Boccioni.
E tale nuovo zeitgeist moderno sembra la sorgente dalla quale ha attinto il famoso massmediologo
Marshall McLuhan: “Il villaggio elettronico”, bellissimo spot-culturale spesso frainteso…
Comunque, per diversi aspetti, dopo Jung e Hillman, quel che gli spiriti apocalittici o passatisti
giudicano tutt’oggi ingenuo o persino immorale in Marinetti e nei futuristi, la venerazione del
moderno, della macchina e del futuro, si rivela, invece, come necessario entusiasmo e meraviglia
del tempo, scintilla fulmine necessari per sedurre la nuova civiltà industriale, per iniettare l’Anima e
lo Spirito nella Macchina appena nata, oggi Computer, Internet, forse realmente nati.
L’artista, posseduto dal Novum, è fatalmente portatore – anche – di distruzione, demone del mondo
futuro, inevitabile eroe, principio di realtà artistica equivocato dai contemporanei, attardati e meno
in sintonia rispetto all’Artista con la realtà futura (immediata o remota), la nuova era nascente.
Cosicché, proprio il testo junghiano, magari dopo la più trasparente re-visione laterale di McLuhan,
l’ambigua natura stessa degli archetipi, spiegano sufficientemente la geniale ambiguità “umanistica”
dei futuristi e di Marinetti, antenna del futuro, oggi satellite e astronave, ormai nell’Era postcristiana
del computer e dell’ecologia, dell’Acquario (in senso junghiano).
** Dopo la “sbornia” del duemila e del terzo millennio aurorale, tra nevrosi apocalittiche e euforie tecnofile – il testo junghiano, alla luce della relativa vittoria in ambito sociale dello choc del futuro (in termini junghiani possessione dell’archetipo irrisolta e problematica) e l’esilio stretto del potenziamento nuovo tecnoscientifico in ambiti, pure non inferiori alle attese, settoriali (tra le emergenti scienze postumane e le neuroscienze stesse), ancora di più oggi appare quell’inciampo o mancanza conoscitiva (per la sua complessità e per lo specchio fatale psicosociale) da riformattare nelle nuove scienze sociali. Il reale dissociato contemporaneo, tra era scientifica e barbarie interetnica e scarsa veraecologia mentale (per dirla con lo stesso Bateson), trasparente sia a livello psichico collettivo e individuale, socioeconomico, finanche artistico, a parte la sconcertante letterale schizopolitica al potere (altro che Immaginazione o Immaginario o Immaginale…) è sorprendentemente decifrabile in prospettive verosimili proprio dalla sottovalutata metapsicologia postjunghiana. La psicopatologia della vita quotidiana diffusa, socialmente condivisa (quindi non assimilabile neutralmente e terapeuticamente) espressa dal moto perpetuo delle società liquide attuali riflettono lo stesso demone oggi coerentemente ibernato dell’utopia futurista o futurologica sia la psicologia del futuro (dinamica quasi misconosciuta dell’ipotesi già multitasking junghiana ed eredi). Proprio i fantasmatici archetipi (anche rileggendo liberamente la Klein e Lacan) sembrano almeno alcuni antivirus liquidi e immateriali fondamentali per mutare il diario di bordo e la rotta di navigazione nell’era di Internet (il grande Archetipo contemporaneo, fluido, non cristallizzabile, meccanica in libertà di tutti gli archeipi stessi e ulteriormente simultanei e compenetranti. Contro la volontà di im-potenza del cosiddetto turbocapitalismo, la fine della politica e il simulacro dell’economia come strutture, ovvio decisive ma nell’interfaccia dell’ambivalente umana natura, non mero scenario riduzionistico, l’homo tecnologicus si scopre potenzialmente e nuovamente messaggero di ecocieli e progressi soft. La bellezza diventa (come sognavano i futuristi) neuroestetica, mente e società, una Rete non solo digitale ma anche immaginale, ma in principio non l’homo massa, ma il Sè o Dna singolare e peculiare. Altro discorso, concludendo, la prassi dei nuovi giri della Terra attorno al Sole e nelle regioni ignote dello spazio-tempo (o universo-i). Spariranno i dinosauri e gli asteroidi, metaforicamente parlando?
*dell’autore da Gramsci 2017… (Armando editore, eBook, Roma)
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Roby Guerra
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