BORDO PAGINA
Instagram salva la vita? Il romanzo di Francesca Monfardini
Tempo di lettura: 4 minuti
‘Ciò che un sorriso non può dire’ (Sovera Edizioni, 2018)
Così Google Libri (Google Books) segnala (sinossi) questo lavoro narrativo “giovanile”:
“Considera la vita come una rampa di scale, ogni gradino ti insegna qualcosa; più sali e più diventa faticoso, ma tu continua a salire.” Ciò che un sorriso non può dire coinvolge il lettore per l’attualità dei temi tipici degli adolescenti. Jessica, la protagonista, ne rappresenta il prototipo, che pur tra tormenti e disillusioni, trova nell’amore di Alberto una ragione per voltare pagina. Il linguaggio è genuino e scorrevole, adatto non solo a coetanei, ma a ogni tipo di lettore.
Oppure dal libro, tra numerosi picchi quasi aforistici, estraiamo un paio di citazioni almeno virtuali:
“Non riusciamo più a capirci o a interpretarci, qual è quell’io che porta l’uomo ad avere autostima? Io non lo so proprio, non riesco a trovarlo dentro di me. Quell’autostima che ti fa sentire re e regina di te stesso.” (‘Heroes’, David Bowie)
“Le lacrime possono essere definite come le sfumature di colore dell’anima.” (la fortunatissima scrittrice del bestseller ’50 sfumature di grigio’, E.L.James).
Personalmente privilegiamo lo stile guerriero più bowiano (paradossale come si vedrà) che caratterizza questo romanzo breve generazionale 2.0 dell’autrice e la protagonista Jessica: una sorta peraltro di diario, a metà tra exposition autobiografica o più probabilmente virtuale e romanzata, anche se via via leggendo, praticamente da subito, la Percezione è sia biografica sia appunto in certo senso generazionale, proprio l’ultima post Web e il gelo che caratterizza le più giovani, fin dall’infanzia e la prima adolescenza.
Rispetto a James, inoltre e ovviamente, l’età post-bambina circoscrive l’Io narrante in dinamiche per forza ben diverse, tra romanticismo ingenuo dei primi amori e impatto con il mondo degli adulti secondo logiche per forza tipo “Come giocare da grandi”.
Ma attenzione, questo quadretto incipit quasi alla De Amicis o da precocissimo Tempo delle Mele, è tutt’altro, tra perdite precoci ancora nell’infanzia (la madre), un padre assente anche per la perdita mai risolta, un fisico ad handicap, con dinamiche fin dalle prime pagine di rara acutezza psicologica attraverso un linguaggio si tipo diario, peraltro di non frequente vera spontaneità e profonda superficie ma – come accennato – di tanto in tanto illuminato da witz poetici e da tre – se non erriamo – citazioni più esplicite che rimandano ai nomi di Dante (passi iniziali dell’Inferno), un certo Nietzsche e persino Marinetti.
Non ultimo, la protagonista è fin dall’infanzia oggetto di bullismo a scuola, confinata alla solitudine solo relativa con le scuole medie e le superiori, riscattata e sempre come una funambola quasi condannata a sport estremi sia dalle maschere che via via riesce a imparare sia da brecce di autenticità interpersonale e “sentimentale” (anche se a volte o spesso mediata dal web): nonostante un suo grande segreto ricorrente (una lametta costante come perversa coperta di Linus e cicatrici scientemente celate) e sempre liminare o borderline, non solo sofferenza psichica ma rischi concreti di fatale autolesionismo fisico) spesso più grandicella diventa l’amica confidente di coetanei o – per sottrarsi alla realtà commovente e disperata. Eccelle in matematica o nella Boxe al femminile (con anche finalmente complimenti paterni).
Il linguaggio apparentemente solo diaristico, come accennato, scava alla Nietzsche come un martello digitale nel pensiero fatto parola e a volte azione: priva di salutari rimozioni e difese d’infanzia, la protagonista, riassumendo, gioca nelle sensazioni alla giovane donna, assai più matura (e naturalmente troppo) dei coetanei.
Il finale è a lieto fine, grazie a un giovanissimo Principe Azzurro, uno dei pochi che quasi sempre per quasi magia incontra vivendo dapprima “un giorno felice su 7 tristi e disperati”, rinnovando con la scomparsa prematurissima di uno di essi (per suicidio e un segreto simile al suo) la perdita della madre in ospedale, lo stessa clinica e reparto, quasi come una maledizione destinale kafkiana.
Il tutto, concludendo, sembra un canto verso l’infinito (altra metafora che istiga il libro leggendolo, quasi trasformando la sua voce narrante in una canzone musicale),
Nel romanzo, l’autoterapia come piccola grande “bellezza” funziona per l’istinto creativo della protagonista, una guerriera e capace di provvisorie maschere paradossalmente antivirus,: in questo caso come ben illustra l’autrice, Instagram (!) decisivo per una nuova rete di esperienze anonime dapprima gratificanti e poi appunto concretizzate off line. Ma altrove e in generale generazionale (e nel mondo reale?). Psicologi e esperti forse tempo di dimenticare i vecchi arnesi di analisi pre web anche dei giovanissmi e di decifrare, pur all’interno di un oceano potenzialmente anche a rischio, quelle- per così dire affinità elettroniche possibili negli stessi SN, probabilmente più complesse e anche positive, declinando quindi nuovi ponti 2.0 di comprensione del Reale (in e nonostante il Web stesso).
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Roby Guerra
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