Beppe Gandini, stregato dal palco: “Io, dalla sala Estense a Julia Roberts con il cuore alla Spal”
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RADICI – “Pur non essendo un bambino particolarmente intellettuale, a otto anni andai a vedere al Teatro Comunale di Ferrara uno spettacolo di Tadeusz Kantor che si intitolava “Crepino gli artisti!”. Cosa avrò capito… non lo so; so solo che ebbi un impatto emotivo tale che per la prima volta capii che esisteva un bel luogo che si chiamava teatro, in cui succedevano tutte quelle cose che mi avevano incantato.” Così Giuseppe Gandini attore ferrarese oggi affermato ricorda la sua prima volta dinanzi a un palcoscenico. Il polacco Kantor, uno dei più grandi drammaturghi del Novecento, era un originale, un personaggio unico che unico è rimasto, senza eredi. Ma con un piccolo ammiratore ferrarese.
La magia di quel momento a occhi spalancati si rinnova a sedici. Questa volta in scena c’è Vittorio Gassman che recita un monologo, una raccolta di vari scritti di Luigi Pirandello. “Uscito dallo spettacolo mi dissi che volevo fare l’attore, e non ho più cambiato idea”.
Dopo avere praticato “in maniera fallimentare pressoché ogni tipo di sport”, approda al teatro per divertimento e per gioco, fino a capire che non sono campi da gioco e spogliatoi a interessarlo, ma l’impatto emotivo. ‘Chacun son metier’. Ci sono i camerini di un teatro, altrettanto nascosti e pieni di attesa, di inizio; non un punteggio finale ma un solo battito di mani, l’attesa non di un fischio d’inizio ma di due tende pesanti e rosse che si aprono e si chiudono per fare spazio ai gradini di una storia, e di un originale come Kantor a raccontarla. Per capire finalmente il posto a cui appartenesse e la porta a cui bussare davvero, accompagnato dall’incontro con Marco Felloni, regista e intellettuale ferrarese. “Quello è stato l’incontro della vita. Lui era alla ricerca di gente che recitasse, io in cerca di recitazione. Mi ha dato la possibilità di recitare in tanti spettacoli, di sperimentare, regalandomi la consapevolezza del lavoro dell’attore che poi ti porta a tentare di intraprendere il mestiere a livello professionale. Ha avuto un ruolo educativo fondamentale che ha permesso a me di procedere oltre i binari, e in generale per chiunque desiderasse avvicinarsi al teatro, formando persone con cognizione di causa. Un maestro sotto ogni punto di vista, per me e per tanti altri ventenni che avevano voglia di fare teatro e non sapevano come.”
DON CHISCIOTTE – “I ruoli che mi vengono affidati grazie al provino solitamente sono derivati di un prototipo originale, quale l’amico del protagonista; spesso simpatico, buffo, rassicurante.” Un archetipo video di casa, di focolare caldo e rassicurante. Dopo il diploma alla scuola d’arte Teatro Etoile, si affaccia al cinema come regista: il suo cortometraggio “Il mito della realtà” vince il Nastro d’argento nel 1995. Poi arriva l’esordio come attore con “Viola bacia tutti” (1998) di Giovanni Veronesi e, nello stesso anno, “La cena” di Ettore Scola, che gli vale un nuovo Nastro d’argento come miglior attore non protagonista, a “Mangia prega ama” (2010) di Ryan Murphy vicino alla diva Julia Roberts, e ruoli analoghi anche in televisione, “Positano”, “L’ispettore Coliandro”, “Gino Bartali”.
Con alcune eccezioni che rivelano le altre facce del dado. Come il ruolo di Benna di “Fortezza Bastiani” (2000) di Michele Mellara e Alessandro Rossi, il ruolo a cui più di ogni altro è legato intimamente. Un appartamento spagnolo alla bolognese, una fortezza ermetica di Dino Buzzati con quattro eterni universitari tra cui lui, Benna, studente di giurisprudenza mantenuto dal padre che tenta di togliersi la pelle di recidivo dell’istruzione perenne e diventare finalmente “grande”. E un altro che ne è agli antipodi: Stefano, protagonista di “Febbre da fieno” (2011) di Laura Lucchetti alla sua opera prima, miglior film al Metropolitan Film Festival di New York: il proprietario di oggetti vintage, il raffinato Stefano dall’animo sognatore, perso nel suo mondo di modernariato, quella seconda opportunità che si dà alle cose e che oggi è così nostalgica per le persone, che forse non hanno mai davvero una Grande Occasione, costantemente tirando a campare. Stefano annaspa tra rifiuto della burocrazia e paura di crescere – “due elementi che ho imparato a gestire in quanto fanno parte delle vita di tutti i giorni, pur non amando il primo e accettando serenamente il secondo, che mi ha regalato quattro anni fa la mia personale grande bellezza.” Un mestiere in cui è sottile il confine tra leggerezza e malinconia, come quello tra un gioco che finisce dove comincia il mestiere stesso; come quello di un’occasione mancata.
RITRATTI – A Giuseppe piace mettere in gioco, e in scena, le proprie passioni, che vanno oltre il cinema, la televisione e il teatro. “Abbiamo cominciato nel 2002 – racconta – con il tema della politica, nello spettacolo “La tombola” ambientato nello stand della tombola di una Festa dell’unità, poi è stato il turno della Spal (“Il cuore a Ovest”) nel 2009, a cui ha fatto seguito “L’Italia siamo noi” sulla storia del nostro Paese nel 2011 in occasione del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, e infine “Eyes Wine Shot” sul tema del vino, attualmente in tournée tra enoteche e teatri italiani. Quel confine tra delicatezza e malinconia che calza come un guanto al suo ultimo spettacolo-concerto, “Guccio!”, andato in scena in prima nazionale il 24 gennaio al Teatro De Micheli di Copparo, il quinto di questa serie di spettacoli dedicati alle passioni.
“Hai mai visto un concerto di Guccini?” mi chiede Giuseppe Gandini. “Io ne ho visti 40. L’idea di mettere in piedi uno spettacolo che avesse come perno una storia incentrata su un suo concerto è nata insieme a Roberto Manuzzi, storico musicista della band del cantautore emiliano, che era nel pubblico durante lo spettacolo dedicato al vino. Concordammo sul fatto che la direzione musicale da seguire a fronte di un progetto incentrato su un concerto di Francesco Guccini non era quella di una tribute band, né quello di uno spettacolo di prosa. Volevamo unire questi due generi senza realmente fare nessuno dei due. Ne è scaturito uno spettacolo-concerto, che racconta tutto quello che non succede tra un ragazzo e una ragazza in un brevissimo lasso di tempo negli anni Novanta, durante l’università. Lo scorrere dalla loro conoscenza tra loro è intercalato da canzoni in accordo non didascalico, ma evocativo rispetto all’atmosfera, in modo tale da scandire le varie fasi della storia.”
LUI E LEI – “Guccio!” è una non-storia, tra Lui e Lei. Studiano Lettere a Bologna nel 1996, e possono essere identificabili con migliaia di altri Lui e Lei in tutta Italia. Negli anni Settanta, Ottanta, Novanta. Duemila. Lui (interpretato da Giuseppe Gandini) e Lei (Valentina Bruscoli) non hanno niente in comune, tanto che al primo appuntamento è già chiaro come andranno le cose tra di loro. Quei due insieme non andranno mai da nessuna parte, entrambi chiusi dentro al carattere e all’atteggiamento che li rende, rispettivamente, Lui e Lei. Perché al primo appuntamento Lui le confessa orgoglioso – seduti al tavolo di un piccolo locale davanti a birra e patatine – che la porterà a un concerto. Non “un” concerto, si intende: “il” Concerto. Quello scarto tra articolo determinativo e indeterminativo racchiude il suo intero mondo: dentro o fuori, bianco o nero, giusto o sbagliato. Ben poche sfumature e la certezza che Lei apprezzerà quel regalo imprevisto.
Anche Lei ha un mondo che si tiene ben stretto, in una incrollabile fede di ‘mediocritas’ pop musicale: quando Lui le chiede chi sia il suo cantautore preferito, la sillaba “Ba” basta per annichilirlo (…”e di Battiato nemmeno l’ombra”, tuona sconsolato). Lei accetta reprimendo conati di vomito e impegnandosi a procurarsi un degno travestimento ai suoi pregiudizi pop – abito lungo a fiori e coroncina in testa, residuo bellico degli anni figli dei fiori alla stregua del cantante al cui concerto è stata trascinata. E quello che non accade tra loro due, quella non-storia che riempie il palcoscenico, quei vuoti di azioni che a volte si interrompono a metà, rallentati, non visti; quei non detti ma solo pensati ad alta voce che a volte divertono, altre feriscono, altre ancora commuovono. Quelle storie che non nascono, quei gesti mancati che restano per sempre schiacciati nelle pieghe del tempo, ricordi universitari a cui non si può pensare se non con malinconia e forse rabbia per qualcosa di perso ormai per sempre.
L’ULTIMA THULE – Tra Lei e Lui non c’è nessun Altro, ma solo Francesco Guccini. E sarà quello, il Lui a cambiarle davvero la vita. Il suo autentico Lui. Perché dal momento in cui sente il concerto di Guccini – dal momento in cui vive i brani di Guccini, interpretati da sassofono e fisarmonica di Manuzzi, dalla chitarra delicata e vibrante di Antonello D’Urso e dalla magnifica voce del cantautore bolognese Germano Bonaveri, per Lei cambia tutto. Perché ascoltare “La locomotiva” e “Cyrano”, “Il vecchio e il bambino” e “In morte di F.S.”, “L’avvelenata”; sono questi gli strumenti attraverso i quali Lei di fatto evolve, grazie ai quali letteralmente “le succede qualcosa”. “Lei – spiega Gandini – è stupefatta da quello che vede, dalla difficoltà di catalogare Guccini nei soliti, rassicuranti schemi”. Perché è per Lui che “si spensero le luci e cominciò la poesia”, ma è per Lei che “prendono vita persone fisiche solo raccontate, persone reali perché solo immaginate”.
Passa il tempo, e Lui non è di molto cambiato. Il pasionario che inneggiava ai concerti di Guccini e non accorgendosi che Lei voleva baciarlo, troppo preso dall’acclamare l’ultima canzone in programma sul palco, è diventato l’incazzoso impiegato di una libreria di Bologna, che si rifiuta di vendere l’ultimo libro di Fabio Volo a un cliente (Filippo Sandon), esattamente come si rifiutava di assecondare i gusti di Lei quando i suoi idoli erano Battisti e Baglioni. Lei radical-chic giornalista rampante, lanciatissima nel mondo delle recensioni musicali, convinta di avere tutto in pugno; lui sinistr/orso incapace, ancora una volta, di considerare i giudizi degli altri. Anche se questa volta non c’è scambio, non c’è la chiave di volta della storia, la sensazione palpabile che resta al termine dello spettacolo – di cui sono richiesti ben due bis – è questa, immobile e irripetibile, splendida nella sua unicità.
E correndo, mi incontrò lungo le scale.
Quasi nulla mi sembrò cambiato in lei.
La tristezza poi ci avvolse come miele.
Per il tempo scivolato su noi due.
Francesco Guccini, “Incontro”
Gli organizzatori sono a lavoro per portare lo spettacolo nei teatri italiani nella stagione invernale 2015/2016. Ogni eventuale data, non appena ufficiale, sarà prontamente comunicata nel sito a cui rimandiamo [vedi“>vedi], da cui è stata tratta la foto in evidenza e la foto di Roberto Manuzzi.
E se vuoi portare lo spettacolo “Guccio!” nella tua città, scrivi a guccioateatro@gmail.com per contattare direttamente gli organizzatori e ricevere ogni informazione a riguardo.
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Giorgia Pizzirani
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