“Bella Ciao”: canto della Resistenza o “Inno delle Sardine”?
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Da: Giorgio Bergamini
La Resistenza è un patrimonio di tutto il popolo italiano. Ad essa parteciparono non solo comunisti e socialisti, ma anche azionisti, cattolici, liberali e monarchici.
Fra questi ultimi vorrei ricordare, per limitarci ai caduti del territorio ferrarese,il giovanissimo Ludovico Ticchioni (che si definiva “badogliano sfegatato”) e il copparese Nevio Zerbini, pure di sentimenti monarchici.
Tra coloro che combatterono rischiando la vita vi furono anche due figure note e stimate a Ferrara: l’Avv. Giorgio Ansemi (decorato a Montelungo) e il Comandante Giorgio Zanardi, che ottenne una Medaglia d’Argento al Valor Militare. Entrambi erano militari di carriera e preferirono, per coerenza (“nella vita si giura una volta sola”, diceva l’Avv. Anselmi) lasciare le Forze Armate dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che sancì, sia pur di misura, la vittoria della Repubblica.
Ciò premesso vorrei osservare che “Bella Ciao” (anche se veniva cantato pochissimo dai partigiani che preferivano altre canzoni) è divenuto, piaccia o non piaccia, il canto-simbolo della Resistenza.
Per tale motivo dovrebbe essere un inno unificante, da non strumentalizzare per manifestazioni di parte. Vedere tale canto declassato a “inno delle sardine” o sentirlo durante manifestazioni di partito produce in me (e in tanti concittadini) un effetto spiacevole.
Se la Resistenza è di tutti, anche “Bella ciao” è di tutti. Chi vuole allenare l’ugola in cortei o assembramenti di parte fortemente politicizzati canti “Bandiera rossa” o l'”Internazionale”. Ma lasci stare “Bella ciao”, le cui parole dovrebbero servire a ricordare tutti coloro (di destra,di centro e di sinistra) che combatterono per restituire la libertà all’Italia.
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