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Banco Dinamico: un’intervista in esclusiva

Tempo di lettura: 3 minuti

Mi chiamo Banco Dinamico e mi sento diverso da tutti i miei coetanei perché ho le ruote e non i piedini come loro; per questo soffro di giramenti di testa ma anche di “demenza sedile” perché ho anche una sedia incorporata nello scheletro che mi fa un male da impazzire.
I miei genitori sono molto conosciuti: mia mamma è Banca Popolare e mio papà è Banco Dei Pegni.
Come è facile immaginare, non ho avuto un’infanzia felice perché la mia famiglia pensava solo ai soldi quindi io mi sono sempre sentito trattato come un “prodotto da banco”.
Una volta cresciuto, le cose non sono migliorate: con le ragazze non sapevo “tener banco” e penso che loro mi usassero soltanto come “banco di prova”.
A scuola “scaldavo il banco”; fuori dalla scuola, le iniziative che prendevo le facevo “sotto banco” così, durante l’adolescenza, ho rischiato spesso di finire sul “banco degli imputati”.
Nonostante i miei genitori immaginassero per me un futuro seduto a qualche “banco della presidenza” oppure al casinò dove “il banco vince”, io invece sognavo di “far saltare il banco” e di diventare un “banco di nebbia” così nessuno avrebbe potuto vedermi.
La vita però, a volte, ti sorprende perché mai mi sarei immaginato di diventare famoso proprio per il mio modo di essere: infatti, quando ormai pensavo che mi sarei ridotto ad essere solo un “banco del pesce”, ho ricevuto una chiamata da un importante personaggio pubblico e da lì il mio futuro è cambiato.
Mi ha detto che telefonava dai “banchi del governo” e che dovevo diventare il modello dei futuri “banchi di scuola” e così, nonostante mi vergognassi molto, mi hanno costretto a lunghe sedute fotografiche che mi hanno fatto finire su tutti i giornali.
Sono stato molto invidiato dalla mia famiglia per questa mia improvvisa celebrità ma, quando quella persona importante ha chiesto a mamma e papà di riprodursi in fretta per farmi tanti fratellini, loro (che per soldi farebbero anche i “banchi da chiesa”) hanno sfoggiato subito un sorrisino malizioso e hanno cominciato a darsi da fare con i loro amplessi, immaginando guadagni enormi.
Io veramente non desidero né fratelli né sorelle ed ora, che sono entrato in un gioco più grande di me, comincio ad essere molto preoccupato perché, anche se sono un “banco dinamico”, mi stavo già abituando al sogno di sparire diventando un “banco di nebbia” per cui non mi piace affatto l’idea di avere altri “compagni di banco” che mi stanno troppo vicini.
Non sono per niente contento e mi dispiace pure per quei bambini con cui ci dovremo abbinare quando saremo a scuola a settembre: ho paura che, per loro, invece del giusto distanziamento si prepari un futuro stretto stretto, da “banco di aringhe” che nuota in un mare di confusione.
Ma proprio a me doveva capitare questa cosa!
Forse però sono ancora in tempo: quasi quasi cambio vita e divento un “bancomat”, farei contenti i miei genitori… No, niente bancomat, io sono sempre stato diverso; ho deciso: diventerò un “banco alimentare”!

P.S. Questa ironica intervista esclusiva nasce dal timore che tutti i problemi legati al ritorno a scuola in sicurezza si stiano condensando nella sola scelta di un banco “spaziale con sedia rotante, maglio perforante, raggio antigravità e disintegratore di realtà” (cit. Goldrake). In questo modo si continuano ad immaginare i bambini come se fossero degli esemplari fermi ed ubbidienti di Teletubbies con un’antenna sulla testa per captare i segnali televisivi e, al centro dell’addome, un rettangolo da usare come monitor.
C’è bisogno di portare l’attenzione sul se e come è possibile fare una scuola buona in un simile “zoo pieno di gabbie distanziate” ma soprattutto occorre iniziare a ragionare su come liberare i bambini da questo “zoo” rispettando la prevenzione sanitaria nelle scuole.
Penso che valga la pena, prima di tutto, liberare se stessi dall’idea di aula standard così come si sta definendo perché le scuole sono fatte anche di cortili, di giardini, di parchi e di dintorni e perché si può far scuola anche fuori dalla scuola.
Per far questo serve una bussola affidabile rappresentata dalla ricerca costante del senso del fare scuola che si può trovare nella nostra Costituzione, abbinandole però la capacità di “navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezza” [1] o, detta con parole mie, provando a praticare un’educazione al rischio (di cui scriverò ancora).

[1] Edgar Morin

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.


PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)