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di Roberta Trucco

“Il rischio, qualsiasi sia la forma in cui lo si pensa o si presenta, appartiene alla vita. Azzerarlo non si può. Si può volerlo fare a tutti i costi, ma si chiama controllo, ossessione, possesso, malattia”. Con questa riflessione della scrittrice Maria Pia Veladiano cominciava un mio intervento pubblicato nel 2014 su ‘La 27esimaOra’ del Corriere della Sera (leggi qui).

Riparto di nuovo da quelle parole, oggi, dopo avere ascoltato la ministra Fedeli invitare i genitori ad accompagnare i ragazzi delle medie a scuola, negando di fatto il pieno diritto di cittadinanza ai nostri figli. È vero, la ministra dice che “l’autonomia è importante per i bambini, ma che la possono sperimentare al pomeriggio”, svuotando però in questo modo la scuola dell’insegnamento fondamentale: diventare adulti consapevoli e pienamente inseriti nel mondo sociale.
In soldoni questa direttiva nasce dalla paura di ritorsioni legali verso il servizio pubblico, ritorsioni che spesso nascono dall’incapacità degli adulti di accettare l’assunto di cui sopra scrive la Veladiano: il rischio. Le istituzioni tuttavia non possono rispondere a questa immaturità sociale tutelandosi con direttive di questo tipo. Uno Stato che, per una questione di ‘controllo’, risponde alle complessità odierne solo con la legge sta mortificando il significato stesso dell’essere una comunità. Il controllo, pensato come atto burocratico, come contratto tra istituzioni, cancella con un colpo di mano le esigenze dei nostri bambini: poter liberamente circolare, fare esperienza, conoscere l’ambiente in cui vivono, godere di una comunità che si fa carico di loro come esseri umani e non come oggetti preziosi da conservare in teche di vetro.

C’è un limite alla sicurezza – etimologia sine cura (senza cura) – ed è la vita, la vita con tutta la sua splendida vulnerabilità, con la cura che richiede e che nessuna legge può garantire. La cura dello stare insieme del volersi bene, del trovare punti di unione a discapito delle differenze che ci caratterizzano e che sono la nostra ricchezza. Restituire autonomie adeguate ai nostri figli significa fornire loro gli strumenti di abilità e di difesa da utilizzare quando scatteranno le trappole, ormai troppo conosciute, nelle quali gli adolescenti spesso incappano e che hanno costi assai elevati per la loro salute e incolumità e per la società stessa. Significa anche aumentare la sicurezza delle nostre strade: “se la strada torna ad essere quella parte fondamentale della città, che permette ai cittadini di spostarsi a piedi, di conoscersi, di aiutarsi, che permette ai bambini di passeggiare di giocare, di andare a scuola, a fare la spesa, la città può tornare ad essere un ambiente vivibile, sano sostenibile” (da ‘A scuola Ci andiamo da soli’, di Francesco Tonucci e Pia Natalini).

A Genova pochi giorni fa abbiamo intitolato una piazza vicino a una scuola elementare a Teresa Mattei, partigiana e madre costituente. All’inaugurazione erano presenti i 190 bambini della scuola, a loro abbiamo raccontato chi era Teresa, in particolare il suo contributo fondamentale alla definizione dell’articolo 3 della Costituzione e come per tutto il resto della sua vita si impegnò attivamente a favore dei diritti dell’infanzia. Continuò a chiedere, nell’arco della sua vita, che venisse inserita nell’articolo 3 l’uguaglianza tra le età, a difesa dei diritti degli anziani e dei bambini. E’ forse venuto il momento di aggiungere definitivamente questa precisazione?

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