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Autodeterminazione dei popoli, un diritto a singhiozzo

di Gianluca Ciucci

Il concetto di autodeterminazione dei popoli è vago come stelle dell’Orsa, volubile come solo l’uomo sa essere, abusato e, a volte, violentato come solo la politica sa fare.
Invocato centinaia di volte nel secolo breve che ci siamo lasciati alle spalle, l’ultima applicazione di questo principio si è visto pochi giorni fa nel referendum che ha sancito il ritorno della regione della Crimea nella Federazione russa. Ma può un voto popolare che sancisce il “cambio di casacca” di una popolazione, più o meno grande che sia, rientrare nell’ambito del diritto inalienabile (ius cogens) di un popolo di autodeterminarsi? A sentire i politici di ogni risma, la risposta è sì, ma solo quando fa comodo, per cui anche no, per lo stesso motivo. Basti pensare ai miseri salti di piccoli paesi da una provincia all’altra: ce ne sono almeno un paio all’anno in Italia. Oppure alla sparata di un Salvini qualunque, che, sventolando la bandiera di Crimea (come un novello Cavour), brandisce l’idea di un referendum simile per staccare il Veneto, e perché no anche il Salento, dal resto del Belpaese. Se però ragionassimo in punta di diritto (parole ostiche nei tempi che viviamo: ragionare e diritto), la risposta alla domanda sarebbe, cristallinamente, no.
Il principio di autodeterminazione dei popoli sancisce il diritto di un popolo sottoposto a dominazione straniera ad ottenere l’indipendenza, associarsi a un altro stato o comunque a poter scegliere autonomamente il proprio regime politico. Questo principio è un diritto internazionale generale e viene riconosciuto dalla Società degli Stati. Venne enunciato per la prima volta da Woodraw Wilson, ventottesimo presidente degli Stati Uniti, in occasione del Trattato di Versailles del 1919. Avrebbe dovuto servire da linea guida per tracciare i nuovi confini dell’Europa uscita dalla Grande Guerra e fu un disastro. Anche allora c’era di mezzo la Russia e anche allora vennero indetti dei plebisciti dagli esiti contestati. Chissà cosa penserebbe Wilson, se sapesse che, un secolo dopo, il principio da lui annunciato con il chiaro intento di arginare la potenza di Mosca sarebbe stato usato da un nuovo zar per annettere un territorio storicamente, ma anche strategicamente, “cuore del popolo russo”. E cosa penserebbe Wilson di un suo successore alla Casa Bianca che invece non riconosce la validità del voto popolare che ufficialmente ne sancisce la volontà di autodeterminarsi? La confusione è grande sotto il cielo: la situazione non è affatto eccellente.

[© www.lastefani.it]

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Redazione di Periscopio



PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)