“Quello di cui avremmo veramente bisogno, in realtà, è una moglie. Ma di quelle tradizionali, di una volta, mica una di quelle moderne con tutte quelle velleità e quei grilli per la testa. Mica come noi.”
Lella Costa sta dalla parte delle donne perché ci sta in mezzo a quell’universo che, dal di dentro, è ancora più variopinto di quanto appaia da fuori. Che poi, da fuori, a guardarlo ci stanno gli uomini, o almeno alcuni.
Tra i tanti, ci sono anche gli uomini della violenza, della forza volgare contro cui l’attrice si è impegnata in molti modi, andando nelle scuole e partecipando alla tournée “Ferite a morte” con Serena Dandini. Le donne sono spesso accompagnate da una sensazione di non poter essere veramente al sicuro, facili bersagli di violenza anche solo verbale, quella di quando passi per strada e qualcuno ti approccia, ti rovescia addosso quelle schifezze che gli passano per la testa. Tu non l’hai provocato, non l’hai nemmeno guardato, ma quelle parole ti toccano lo stesso, anche se non te le meriti e non le volevi, ma passavi di lì.
“Che bello essere noi” racconta l’anima e l’animo delle donne, concentrate, tridimensionali e molto banalmente ridotte a quote rosa, una questione di percentuale, di posti a sedere. Ma le donne ci rinunciano anche ai posti di potere, alla politica attiva perché hanno altre priorità, “a noi non interessa la concezione maschile del potere, e dunque della politica. Non ci somiglia”. Le donne preferiscono sorellanza e mutuo soccorso, il bello dell’essere noi è questo, riconoscersi tra poche parole e confidenza, è continuare a scegliersi oppure prendere altre strade.
E poi c’è la questione del punto di vista, dello sguardo. Il mito di Orfeo ed Euridice, a cui Lella Costa ricorre, ne è un esempio: dopo tutta la fatica fatta, dopo averla recuperata dal mondo dei morti, dopo essere quasi arrivato, Orfeo si volta a guardarla e la perde per sempre. Le interpretazioni e i tentativi di risposta a questo gesto di Orfeo (non ce la faceva a resistere? voleva una rassicurazione che fosse proprio lei? che non fosse cambiata? gli erano venuti dubbi?) sono stati tanti. Ma di uomini come Orfeo, dice Lella Costa, il mondo è pieno. Sono quelli che nel momento in cui davvero ti guardano, nel momento in cui realizzano, ti abbandonano. Quando vedono veramente te e non il tuo simulacro, l’idea, anzi l’idealizzazione che si erano fatti, scappano. E allora “che benedetti siano gli uomini che ci guardano”, ma non distrattamente, così se capita, ma quelli ci colgono nei nostri dettagli, negli elementi meno evidenti e perciò singolari che ciascuna ha, “quelli che sanno diventare tornasole, reagente chimico, lente che ingrandisce. Che come Alice non temono gli specchi ma li attraversano. Che siano per sempre benedetti gli uomini che ci amano guardandoci”.
E la fiducia in se stesse e nel loro sguardo le donne ce l’hanno? Forse troppo, per tradizione, dipendenti dallo sguardo altrui, specie maschile, forse spesso in cerca di approvazione, di amore e in ansia, forse, dice Lella Costa, divise tra Ade e Orfeo, si sono perse Euridice. Per fortuna c’è sempre “quell’alfabeto comune” di scelte e pensieri che ci fa ri-conoscere quanto sia bello essere noi.
“Che bello essere noi”, Lella Costa, Piemme, 2014
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Riccarda Dalbuoni
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