Auguri opinabili da uno snob improvvisato
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Nel pensare come avrei potuto passare un fine d’anno lontano dalle beghe e dai problemi di ogni giorno mi sono immaginato come uno snob (categoria sociale che poco frequento) avrebbe trascorso quelle ore per aver la forza di resistere fino all’indomani senza pensare ai fuochi, ai petardi e alla vita comune. Perciò questa versione di un io che poco m’appartiene, oggi la assumo per sforzarmi di pensare a come si comporterebbe lo snob (anzi, molto di più il dandy – potrei dire con snobistica puntualizzazione, già calato nel personaggio – visto che a Parigi aspettano le mie voci per il Dictionnaire du dandysme dedicate a Filippo de Pisis e ad Alberto Arbasino…).
Dunque, dopo avere ascoltato per la millesima volta Carmen con la Callas, letto il sublime Paris France di Gertrude Stein, quindi avere atteso il discorso del capo dello stato e deciso di consolare le mie pene fisiche e politiche con l’ultimo canto del Paradiso di Dante, avrei certamente optato per bere champagne e mangiare pochissimo. Indi mi sarei prodigato a preparare i rifugi per Lilla, per combattere l’idiozia di chi si crede uomo a sparare i botti e a divertirsi con gli incendi dei castelli, massima mediocrità di divertimenti. Ma purtroppo anche con queste dandystiche intenzione, la vita “reale” (anzi: quella falsa del solo “fare” e niente “pensare”) non si può eliminare. E mentre mi preparo a ritornare, domani, in trincea, vi auguro buon anno con questa stupenda meditazione di Gertrude Stein. Lascio a voi di applicarla alla nostra contemporaneità: è un indovinello abbastanza facile ma per mettervi sulla buona via con il corsivo vi fornisco un indizio.
“Una volta mi trovavo su una nave diretta in America. C’era anche l’Abbé Dimnet e parlavano di un’esercitazione antincendio, ce n’era una in corso, tutti dovevano indossare un salvagente e venne calata una scialuppa ma nessuno salì a bordo della scialuppa, l’Abbé Dimnet era indignato, mi disse dovrebbero salire a bordo della scialuppa, ditelo al capitano, dissi, lo farò disse, tornò indietro, che ha detto il capitano domandai, ha detto, disse furibondo, ha detto che non si può salire a bordo della scialuppa se non si ferma la nave sarebbe troppo pericoloso e fermare la nave costerebbe troppo e ci vorrebbe troppo tempo. L’Abbé Dimnet era furibondo, disse ‘ecco qual è la verità, si preparano si preparano e non sanno mai se saranno capaci di fare quello per cui si sono preparati”.
Facile no come indovinello! A proposito la prima edizione di questo mirabile libro è del 1940. Auguri.

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Gianni Venturi
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani