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Aspettando il Nuovo Anno

Articolo pubblicato il 22 Dicembre 2016, Scritto da Gianni Venturi

Tempo di lettura: 4 minuti


Mestamente faccio su gli stracci e m’organizzo per passare Capodanno nell’altra patria ingrata, Firenze; almeno per qualche giorno niente incendi, niente botti, niente Orlando, niente Bassani.
Si tira un sospiro di sollievo e si ricomincia perché guai mollare (scusate l’espressione vagamente in odor di tempi non sospetti).
Ma ancora una volta, alla notizia di una perdita, ritorna ancor più incattivito il segnale di cui Ferrara sembra essere maestra: la dimenticanza.
E’ morto Paolo Prodi. Il suo ruolo è stato significativo per la cultura, la società, la politica non solo emiliana ma nazionale e transnazionale, Così il suo profilo estratto da Wikipedia:
“Si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università Cattolica di Milano, dopo aver vinto una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum, per poi perfezionare gli studi presso l’Università di Bonn. Ha insegnato Storia moderna presso l’Università di Trento (di cui è stato rettore dal 1972 al 1977, nonché preside della Facoltà di Lettere dal 1985 al 1988), l’Università di Roma e l’Università di Bologna (della cui Facoltà di Magistero è stato preside dal 1969 al 1972). È Presidente della Giunta Storica Nazionale (già Giunta Centrale per gli Studi Storici), membro dell’Accademia Austriaca delle Scienze e dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
È stato tra i fondatori dell’Associazione di cultura e politica “Il Mulino” (fondata nel 1965). Nel 1973 ha fondato, insieme a Hubert Jedin (di cui è stato allievo), l’Istituto storico italo-germanico di Trento, istituto che ha diretto per oltre un ventennio. Nel 2007 è stato insignito del Premio Alexander von Humboldt.
Era fratello del politico ed economista Romano Prodi, del professore e politico Vittorio Prodi, del fisico Franco Prodi, dell’oncologo Giorgio Prodi e del matematico Giovanni Prodi.
Basterebbero queste scarne notizie a rilevare la caratura straordinaria del personaggio; ma quello che avrebbe dovuto sollecitare il ricordo dei ferraresi è che Paolo Prodi è stato per anni Presidente e Direttore dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara con il quale aveva instaurato un altissimo rapporto di collaborazione scientifica condivisa a questo punto con coloro che operarono all’interno dell’Istituto. Basterebbe citare studiosi eminentissimi quali Ezio Raimondi, Adriano Prosperi, Gian Paolo Brizzi, Gigliola Fragnito nel campo della storia e della storia moderna specie di quel momento fondamentale che fu il rapido diffondersi anche a Ferrara dei movimenti ereticali e di quella che Prodi chiamava non la Controriforma ma la Riforma cattolica. Un lavoro di altissima qualità scientifica affidata a molte pubblicazioni gloria e vanto dell’ISR.
Furono tempi fondamentali per la cultura a Ferrara e di Ferrara di cui non resta neanche il ricordo. Ho chiesto un segno pubblico di riconoscenza ma non è possibile nemmeno un ‘santino’ sul giornale !Per mancanza di fondi, dicono. Ecco allora che per ricordare l’amico e il compagno di tante ed esaltanti avventure mi permetto di scrivere queste poche righe.
Un ricordo vivissimo a casa di Ezio Raimondi mentre aspettavamo la conclusione dell’elezione del fratello di Paolo, Romano. Un gruppetto di amici tra cui Andrea Emiliani e alcuni giovani allievi di Prodi e di Raimondi instaurarono una fitta rete di rimandi che dimostrava, se ce ne fosse stato bisogno, la straordinaria capacità dello storico e dei suoi amici di trasmettere cultura e ancora di tener vivo e vitale il principio della Storia. Oggi sulle pagine de ‘La Repubblica’ dove si parlava dei funerali di Paolo, Adriano Prosperi commentava: “ed esorta a istituire seminari permanenti sui temi da lui studiati.” Non sarebbe stata l’occasione che qualcuno si ricordasse di coloro, tra i grandi studiosi, che resero indimenticabile un momento della nostra storia ferrarese?
Ma come si sa la nebbia è di casa dalle nostre parti.
Alla fine del lungo, quasi interminabile percorso del centenario ariostesco m’invitano a parlare dell’Orlando furioso alla scuola media de Pisis. Quattro terze e due seconde. Accetto volentieri in quanto so la qualità degli insegnanti e con quale amore quella scuola si è resa accogliente ai nuovi italiani. Ragazzine e ragazzini cinesi, arabi, nigeriani e di tante altre nazioni che la risacca dei migranti ha depositato qui nella nostra città e nella nostra provincia. Racconto la storia del grande poeta, cerco di far capire loro con la metafora del terzo occhio che i poeti e gli artisti in genere posseggono un occhio interno che trasforma la cronaca della loro vita in verità superiore e che questo è la realtà, il senso di essere umani. Poi alla fine tra gli inevitabili sghignazzi a vedere Lucrezia Borgia nelle vesti di Flora col seno nudo ma con un quasi evidente sospiro allorché faccio vedere la ciocca di capelli biondi conservati all’Ambrosiana pegno dell’amore tra la bella Lucrezia e il cardinal Bembo comincio un gioco. Ho portato l’edizione dell’Orlando del 1603 con le tavole che lo adornano e il commento del Ruscelli. Chiamo 10 ragazzi a sfogliare il libro con i guanti di filo bianco, come fanno gli studiosi, ma voglio che almeno metà siano i nuovi italiani che debbono prendere coscienza dei grandi personaggi della loro nuova patria. Sono emozionatissimi e orgogliosi di questo compito tra gli applausi dei compagni. Alla fine una ragazzina cinese mi chiede di poter anche lei indossare i guanti e sfogliare il libro. Ha un sorriso così luminoso che le permetto di toccare con un dito senza guanto la prima pagina. Naturalmente mi commuovo ma non lo dimostro.
Potere della poesia che ci rende simili agli dèi.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani