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Ascanio Celestini riporta in scena l’operaio e la sua “Fabbrica”

Articolo pubblicato il 16 Dicembre 2013, Scritto da Valentina Preti

Tempo di lettura: 2 minuti


Pochi elementi sul palco, per la precisione due: una scenografia minuta e un attore che lo è altrettanto. Tutto il resto è riempito dalle parole, un fiume in piena. Siamo al Teatro dei Fluttuanti di Argenta e le parole sono quelle che tessono il testo teatrale di Fabbrica, lo spettacolo datato 2002 che Ascanio Celestini oggi riporta nei teatri. Lo fa da solo e lo fa raccontando perché, come spiega lui stesso ai ragazzi di Share for Community e agli spettatori di un “aperitivo fluttuante” che anticipa la rappresentazione, “il ‘teatro di narrazione’ non è un genere a sé, tutti gli spettacoli narrano storie e non c’è tanta differenza tra quello che faccio io e chi porta in scena Molière. Quel che ci differenzia veramente è che nel mio spettacolo non c’è una compagnia di attori, ci sono io”.

Autore, regista e attore appunto, per un monologo della durata di un’ora e mezza, ma che scorre via in un battito di ciglia. Una fabbrica di inizio ‘900, di quelle storiche e stoiche, è la vera protagonista. Una “istituzione” vissuta attraverso la biografia quotidiana di tre generazioni di operai personificati nei tre Fausto di cui si narra: lo stesso nome per un nonno, un padre e un figlio, primi attori di vicende di vita bizzarre, che si intrecciano con la Storia, prima quella con la S maiuscola e poi quella della Fabbrica. La voce invece è di un narratore esterno che di quell’enorme edificio di produzione ha vissuto la decadenza e ascoltato gli aneddoti: è lui che dedica alla madre (e ai presenti) quell’unica lettera che non ha potuto scriverle il 17 marzo 1949. Lo spettatore è rapito nell’ascolto, tanta è l’autenticità trasmessa, perché “l’attore deve entrare nel proprio oggetto, deve avere esperienza di quello di cui sta parlando. Anche se il teatro è finto anche quando è vero” – afferma lo stesso Celestini.

Un teatro che mescola invenzione e realtà dunque, per un autore che, interrogato su una posizione politica che spesso gli viene attribuita, specifica: “Mi hanno sempre affibbiato una voce partitica, non è così. Sempre che oggi si possa parlare di ‘partiti’: negli anni ’50 si votava ad esempio quello Comunista, ma non si votava la persona, si votava un’idea, una visione del mondo. Ora non è più così”.

Riferimenti:
Teatro dei Fluttuanti di Argenta
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Valentina Preti



Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani