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di Maria Cristina Nascosi Sandri

Senza di loro il Cinema non si sarebbe chiamato, forse, cinema. Parafrasando au rebours lo Shakespeare di Romeo and Juliet e di “una rosa sarebbe sempre una rosa, pur con un altro nome”, piace qui ricordare l’anniversario della scomparsa di due giganti della cinematografia di ogni tempo, due autentici intellettuali e, come tali, due antesignani a tutto tondo, dalla cultura davvero sconfinata: Michelangelo Antonioni ed Ingmar Bergman, mancati a poche ore di distanza l’uno dall’altro, il 30 luglio 2007.
Risale a dieci anni fa la fine della carriera su pellicola di Antonioni: sono, infatti, del 2004 l’episodio da lui diretto, Il filo pericoloso delle cose (uno dei tre del film collettaneo Eros, gli altri due registi erano Steven Soderbergh e Wong Kar-Wai) ed il corto Lo sguardo di Michelangelo (rarefazione visiva, specie di sublime testamento spirituale che prevale sui suoni, sui rumori), ma immortali rimarranno i suoi insegnamenti sulla Settima arte come tali saranno, mutatis mutandis, quelli di Bergman.
La musica, in tutte le sue pellicole, è sempre stata per Antonioni elemento di grande passione, ricerca, sperimentazione, essenziale eppure mai ‘coprente’ l’immagine, l’inquadratura, mai prevalente.
Per più di un decennio, dal corto N.U. Nettezza Urbana, del 1948 e dal suo primo lungometraggio, Cronaca di un amore, del 1950, Antonioni lavora con Giovanni Fusco, ottimo musicista, anche lui aperto alle sperimentazioni.
Poi, casualmente, la loro collaborazione ha una battuta d’arresto: Giorgio Gaslini, grande jazzista, musicista, compositore, mancato pochi giorni fa, una sera del 1961, dona, per riconoscenza e stima a Marcello Mastroianni, un suo nuovo disco jazz di estrema d’avanguardia intitolato Tempo e relazione, forse primo esempio di jazz europeo. Inconsapevolmente ma non troppo, Mastroianni lo ‘passa’ la sera stessa ad Antonioni, con cui stava girando le prime scene de La notte.
Così il regista lasciò temporaneamente, per una ‘parentesi’, Giovanni Fusco, autore di impronta romana, e scelse Gaslini per l’ambientazione e l’atmosfera tutta milanese di questo suo film, dopo avergli telefonato una domenica mattina, chiedendogli di ascoltare tutto quanto il musicista aveva scritto fino ad allora – come narra lo stesso Gaslini in una vecchia intervista, aggiungendo: “E’ stato un grande artista. E la vita ha voluto che lo incontrassi. Probabilmente senza di lui non avrei mai intrapreso la parte di carriera che ha riguardato il cinema. Non sapevo che quel film sarebbe stato un capolavoro e che la mia musica avrebbe vinto il Nastro d’Argento”. Gaslini ha scritto, nel tempo, colonne sonore per 42 film.

Vienna in questi giorni, e fino al 17 agosto, rende omaggio ad Antonioni con una mostra fotografica su Blow up all’Albertina di Vienna [vedi], una delle più grandi raccolte mondiali di grafica.
Il cult-movie, girato nel 1966, ha immortalato per sempre la swinging London: precursore anche in questo caso, il regista ferrarese ha coniugato in contemporanea cinema e fotografia, arte e moda (specchio dei tempi), rendendo il testo filmico una pietra miliare, un classico per sempre, insuperato ed imitato.
In mostra, autori come David Bailey – il più ‘celebrato’ nel film – Terence Donovan, Richard Hamilton, John Hilliard, Don McCullin, Ian Stephenson, John Stezaker e molti altri.
Presenti, inoltre, le famose foto di Blow-Up di una coppia di amanti ripresi in Maryon Park dal protagonista del film che ritiene di aver ‘documentato’, per caso, con queste foto, un omicidio che ‘tuttavia’ non ‘rivelano’ un cadavere.
Le immagini ed il loro doppio – in questo caso, come direbbe Antonin Artaud – descrivono una ambivalenza/ambiguità del tutto e del niente, nella loro rappresentazione vero/fittizia, insegnamenti che son divenuti retaggio imprescindibile per i fotografi contemporanei.
E come direbbe Michelangelo: “L’assoluta misteriosa realtà che nessuno vedrà mai – come le nuvole, metafora di vita, da sempre rappresentano una perenne ricerca di quanto sta oltre le cose e le immagini”.

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Redazione di Periscopio



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