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Da: Cia Ferrara

Dopo la mobilitazione che l’anno scorso ha portato alla raccolta di 100.000 firme per chiedere l’aumento delle pensioni minime la situazione degli agricoltori in pensione è sempre grave, con il l’89,4% non arriva a una pensione di 600 euro al mese e il 43% degli agricoltori over 65

Agricoltori in pensione, anche ultra settantenni o ottantenni, che continuano a lavorare perché ricevono assegni pensionistici ‘da fame’. Una distorsione economica e sociale che non solo azzera il ricambio generazionale ma provoca problemi di produttività e sicurezza. A denunciare la situazione è l’Anp (Associazione Nazionale Pensionati) di Cia che in questi anni ha lottato molto per ottenere l’aumento delle pensioni minime e favorire un vero e proprio ‘passaggio di consegne’ virtuoso tra anziani e giovani, anche a livello di trasferimento di competenze.
Nel 2015 l’Anp – Cia, grazie a un’importante campagna di sensibilizzazione, ha raccolto 100.000 firme per chiedere che i trattamenti pensionistici minimi siano equiparati a quelli europei e vengano riconosciuti gli 80 euro ogni mese anche ai pensionati. Le ultime notizie parlano di un accordo con i sindacati – al momento non ancora diventato provvedimento – per l’erogazione di una quattordicesima mensilità estesa ai pensionati che percepiscono fino a 1000euro lordi e un aumento del del 30% per chi già la percepisce. Un provvedimento che soddisfa solo parzialmente i pensionati Cia perché la situazione è davvero da ‘bollino rosso’ per gli ex lavoratori in agricoltura che in Italia sono circa 460mila. Sono i numeri a dirlo: l’89,4% non arriva a una pensione di 600 euro ma la media del settore è notevolmente più bassa e si attesta sui 400 euro al mese, con punte minime di 276 euro al mese.
«Come può un agricoltore pensare di smettere di lavorare – si chiede Rolando Tuffanelli, presidente Anp di Cia Ferrara – se la prospettiva è di vivere con nemmeno 300 euro al mese? In questi anni ci siamo battuti molto per ottenere un cambio di rotta a livello di trattamento pensionistico minimo per gli ex agricoltori e speriamo davvero che le firme raccolte nel 2015 portino, come sembra, ad avere almeno una quattordicesima mensilità. Ma il problema delle cifre rimane e sono quelle che bloccano un’agricoltura italiana troppo anziana – i titolari di azienda sopra i 65 anni sono il 43% del totale – e incapace di rinnovarsi. E la ‘colpa’ se di colpa si può parlare non è certo degli agricoltori over 65 che vorrebbero lasciare il posto a chi ha più energia, idee, prospettive di innovazione, ma non può farlo perché la contropartita è una pensione da fame. Ricordo inoltre che gli agricoltori in pensione tendono a rimanere nelle zone rurali dove magari il welfare e i servizi sono inferiori e dunque avrebbero bisogno di poter disporre di una cifra adeguata per condurre una vita più dignitosa. A tal proposito seguiamo con interesse la proposta di Cia nazionale di perfezionare la proposta di legge Gnecchi-Damiano, che prevede l’istituzione di una ‘pensione base’ (448 euro), in aggiunta alla pensione liquidata interamente con il sistema contributivo. Un passo avanti significativo che potrebbe riportare un po’ di equilibrio in una società dove gli italiani che vivono sotto la soglia di povertà sono quasi 5 milioni e tra questi c’è chi ha lavorato una vita intera nei campi»

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