Da: Potere al popolo – Ferrara
Oggi è Primo Maggio. Un anno fa (come due, tre, quattro anni fa) a quest’ora stavamo preparando il materiale per scendere in piazza, per portare all’attenzione di tutti i bisogni di chi, come noi, lavora per vivere e non campa sfruttando il lavoro degli altri.
Oggi non ci saranno manifestazioni, eppure mai come quest’anno ce ne vorrebbero.
La pandemia che ha colpito l’Italia e il mondo intero ha spalancato le porte ad una crisi economica comunque già prevista: i mesi che ci aspettano, dal punto di vista del lavoro, saranno mesi di profonde trasformazioni.
La pandemia ha messo a nudo la fragilità del nostro sistema economico e i danni fatti da decenni di neoliberismo senza contro bilanciamenti: un welfare distrutto, una galassia di piccole e medie imprese decotte, che sopravvivono da anni grazie a ipersfruttamento, evasione, elusione, sgravi e iniezioni di denaro pubblico, ma che di fronte alla crisi mostrano tragicamente la loro incapacità di sopravvivenza, uno Stato totalmente assente nella risposta ai bisogni di decine di milioni di persone.
Queste sono le cifre che bisogna considerare per tastare il polso del paese: ai 5 milioni di poveri già accertati si aggiungono tutti quelli che la crisi ha lasciato in mezzo a una strada, e quelli che saranno sbattuti fuori nel momento in cui le imprese potranno di nuovo licenziare. Oltre dieci milioni di persone, con le loro famiglie, si trovano senza un mezzo per tirare avanti, e il Governo per tutta risposta rivoluziona i calendari e fa uscire il famoso decreto Aprile…a Maggio.
Coloro che invece riusciranno a mantenere il posto di lavoro non avranno vita facile: Confindustria in questi due mesi ha mostrato in modo ancora più chiaro del solito quanta importanza dà alla vita, alla salute, ai diritti di lavoratrici e lavoratori: zero.
Da un lato hanno fatto pressioni per tenere aperto il maggior numero di fabbriche possibile, dall’altro hanno strappato un protocollo sulla sicurezza che di sicuro ha solo il nome; ancora, stanno studiando tutte le trasformazioni del rapporto di lavoro imposte dall’emergenza – come il telelavoro, il cosiddetto smart working – per metterle a sistema nelle fasi che seguiranno, ovviamente a discapito dei diritti e della salute di chi lavora.
Promettono esplicitamente tagli ai salari e guai a scioperare o a manifestare pubblicamente il proprio dissenso: le misure di contenimento del contagio saranno certamente brandite come un’arma contro i diritti dei lavoratori, come già sta avvenendo in USA, in Europa e anche qui da noi.
Insomma, questo primo maggio ci presenta simbolicamente i compiti che dovremo affrontare nel prossimo futuro:
- esigere una risposta al problema della povertà, con l’introduzione di un reddito d’emergenza vero, adeguato per quantità e per platea, che garantisca finché è necessario a milioni di famiglie il modo di tirare avanti
- esigere che i ricchi del paese paghino il conto degli abusi, degli sperperi e delle ruberie commesse in questi anni. È il momento di andarsi a riprendere quello che hanno accumulato sfruttando il lavoro degli altri per redistribuire un po’ della – tanta – ricchezza privata presente nel paese
La crisi ha manifestato da un lato la forza potenziale delle lavoratrici e dei lavoratori organizzati, dall’altro le tragiche conseguenze della mancanza di punti di riferimento in troppe realtà, in troppi settori.
I diritti, la salute, la sicurezza, la vita di chi lavora sono responsabilità di tutti, e tutti insieme dobbiamo farcene carico.
Così come dobbiamo farci carico di pensare e praticare la transizione ecologica del mondo della produzione e del consumo.
Per questo oggi siamo andati davanti la sede della Confindustria di Ferrara per ribadire che viene prima la salute delle lavoratrici e dei lavoratori e poi i profitti!
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