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di Antonio Martella

Il lavoro, i soprusi e le battaglie per riprendere ciò che le è sempre appartenuto, la propria Terra.
Ana Fendo è sinonimo della salvaguardia della popolazione “indios” dei Kaingang del sud-ovest del Brasile. La sua lotta riecheggia nella storia di tanti indios e non solo. La sua non ottemperanza a quella “buona coscienza” del conformismo bianco, ha significato la sopravvivenza di quella cultura millenaria, ricca di riti, danze e religiosità che hanno permeato quella fantastica terra per migliaia di anni.

La Nuova Italia! Così fu chiamato quel lontano mondo da parte dei primi coloni Italo-tedeschi che vi misero piede nei primi anni del XX secolo. Purtroppo il “buoncostume” italo-tedesco dell’oppressione e della belligeranza nei confronti del “diverso”, ha anticipato, nel sud-ovest del Brasile, quella forma mentis che condurrà, trent’anni più tardi, la stessa alleanza in uno dei periodi più bui della storia dell’umanità.
Il fuoco della più celebre fotografia che la ritrae è diretto sulle sue mani, poiché rappresentarono, sono ed esprimeranno l’effigie di quella costruzione dell’Io collettivo, dell’ego della natura che prevarica e rompe ogni tentativo di oppressione del Diverso, oltre che essere il luogo comune del lavoro.
La supremazia delle popolazioni bianche su quelle “Indios” ha portato alla morte di diverse migliaia di persone appartenenti alla comunità dei Kaingang, e di diversi milioni di popolazioni in tutto il sud America. La sua lotta è stata filmata in un cortometraggio quando, all’età di 100 anni, lavorava ancora la sua Terra.
Oggi, Ana Fendo vive nel cinque percento di quella che era inizialmente la sua grande Terra; ha raggiunto l’età di 110 anni, ha perso l’occhio destro a causa di una cataratta, ma il suo spirito guerriero sembra aver trapassato quella dolce barriera che divide la vita dalla morte.
Il suo grido di battaglia sembra echeggiare in quelle infinite e rigogliose vallate che hanno dato voce al suo ostinato combattere. Le condizioni di vita della sua tribù sono molto precarie, le malattie zoologiche, la mancanza di sistemi sanitari adeguati, il grande problema dei rifiuti, ma soprattutto la “civilizzazione” imposta da una cultura estranea, hanno portato gravi conseguenze nella popolazione più giovane. Le piaghe sociali delle droghe e dell’alcol stanno distruggendo quel poco di tradizione, cultura e ritualità millenaria che questa donna ha cercato di preservare con tutta se stessa.

L’evoluzione che diventa regresso, il necessario che si trasforma in superfluo, una familiare pratica storica che si ripete, distruggendo quell’inestimabile diversità che rende il mondo incantevolmente ricco e stranamente non “uguale”.
La piccola storia di una grande guerriera, icona del lavoro e della lotta di milioni di donne, per la Libertà.

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Redazione di Periscopio



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