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La città di Ferrara fa capolino tra le pagine di uno dei libri più coinvolgenti di questi anni. In ‘Storia della bambina perduta’ – quarto e ultimo volume della quadrilogia de ‘L’amica geniale’ di Elena Ferrante – a un certo punto la protagonista Elena-Lenù fa riferimento al suo viaggio nella città emiliana per presentare un libro. L’episodio è raccontato nella parte iniziale del romanzo che conclude la serie di quattro.

Presentazione libro nella sala Agnelli della Biblioteca Ariostea, Palazzo Paradiso di Ferrara

Al pagina 77 di ‘Storia della bambina perduta’ si legge: “I tempi avevano quell’andamento. Andò male anche a me, una sera, a Ferrara. Il cadavere di Moro era stato ritrovato da poco più di un mese quando mi scappò di definire assassini i suoi sequestratori. Con le parole era difficile sempre, il mio pubblico esigeva che sapessi calibrarle secondo gli usi correnti della sinistra estrema, e io stavo attentissima. Ma spesso finivo per accendermi e allora pronunciavo frasi senza filtro. Assassini non andò bene a nessuno dei presenti – assassini sono i fascisti – e fui attaccata, criticata, sbeffeggiata. Ammutolii. Quanto soffrivo nei casi in cui all’improvviso mi veniva tolto il consenso. […] Se si ammazza qualcuno, non si è assassini? La serata finì male, Nino fu sul punto di fare a botte con un tale in fondo alla saletta. Ma anche in quel caso contò solo tornare a noi due”.

La misteriosa Ferrante ha quindi probabilmente messo piede a Ferrara, ha avuto modo in quegli anni di frequentarne almeno un po’ le strade, i luoghi d’incontro. Non ci sarebbe stato motivo di citare Ferrara al posto di un’altra città, se non forse per la sua collocazione ideologica ben schierata a sinistra, significativa in effetti per descrivere l’atmosfera che si respirava negli anni di piombo. Il momento storico, nel romanzo, è identificato e circoscritto in modo preciso. Aldo Moro fu sequestrato il 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, e il suo corpo senza vita fu ritrovato il 9 maggio successivo in via Caetani. Quindi la visita ferrarese raccontata nel romanzo va collocata intorno alla metà di giugno del 1978. Ma se davvero c’è venuta, in quale veste si è presentata a Ferrara l’autrice che con tanta cura ha sempre tenuto nascosta la sua vera identità? All’epoca poteva avere sui 25 anni, neo laureata, forse scriveva articoli, saggi, o poteva essere impegnata per qualche ricerca. Non può certo esserci stata per presentare un libro firmato come Elena Ferrante, perché questo non l’ha mai fatto, di mostrare il volto associato a quel nome. E, inoltre, il primo libro firmato così risale ad anni molto successivi: è ‘L’amore molesto’ che esce nel 1992.

Articolo del “Sole 24Ore” su Elena Ferrante, 2 ottobre 2016

Le ricerche fatte dal ‘Sole 24Ore’ per dare un’identità reale all’autrice hanno portato a identificarla nella traduttrice dal tedesco all’italiano della casa editrice E/O, che è poi l’editore che ha anche pubblicato tutti i volumi firmati Ferrante dal 1992 a oggi. Così infatti emerge dall’articolo “Ecco la vera identità di Elena Ferrante” di Claudio Gatti uscito sul quotidiano economico-finanziario italiano del 2 ottobre 2016 , che attraverso un’indagine sui flussi di denaro tra chi pubblica e chi scrive attribuisce ad Anita Raja, traduttrice dal tedesco di molte opere in catalogo, la paternità (ma in questo caso sarebbe meglio dire maternità) de ‘L’amica geniale’ e di tutto ciò che è stato stampato a nome di Elena Ferrante. Il primo indizio è comunque una conferma: la casa editrice E/O, così strettamente legata all’autrice, nasce proprio a cavallo di quegli anni di grande tensione del Paese, fondata a Roma nel 1979 dall’ex militante di Lotta continua Sandro Ferri insieme alla moglie Sandra Ozzola, esperta di letteratura russa. A tracciare un identikit di Anita Raja ci pensa invece, senza malizia e prima che vengano fatti questi collegamenti-scoop, l’organizzazione del Festivaletteratura di Mantova, che invita la traduttrice all’edizione del 2014 della manifestazione letteraria e la inserisce tra le schede degli ospiti come “Nata a Napoli nel 1953, si è laureata in Lettere e vive a Roma. Ha tradotto dal tedesco gran parte dell’opera di Christa Wolf. […] Ha altresì tradotto per antologie e riviste testi di Ingeborg Bachmann, Hermann Hesse, Ilse Aichinger, Irmtraud Morgner, Sarah Kirsch, Christoph Hein, Hanz Magnus Enzensberger, Veit Heinechen e Bertolt Brecht, sia di prosa che di poesia. Ha pubblicato innumerevoli articoli e saggi sulla letteratura italiana e tedesca e sui problemi relativi alla traduzione”. Presentandola al pubblico in un incontro del 6 settembre 2014, una delle organizzatrici del festival Annarosa Buttarelli la definisce come “direttrice della biblioteca europea di Roma” nonché “traduttrice senza tradimento della vita di una scrittrice famosa come Christa Wolf”. E la Raja – nell’incontro registrato nell’archivio del sito di Festivaletteratura – parla della traduzione come di una pratica basata su “una forte empatia”, sul “rapporto non tra due persone ma tra due lingue, dove chi traduce deve lasciarsi invadere e pervadere dalla lingua dell’altra, un atto che espande la tua lingua” e che poi nel caso di lei e della Wolf è diventata anche “un’esperienza unica e irripetibile” basata su un rapporto personale, con la frequenza della sua casa di Berlino e di quella natale del Magdeburgo, vedendola “nella sua normalità, vedendo come preparava una torta o come stendeva i panni, così come sbrigava la corrispondenza o lavorava nel suo studio”.  “Christa Wolf – dice la Raja – vuole raccontare il versante quotidiano della storia, anche quando ha scritto i suoi romanzi di argomento mitico, come Cassandra e Medea, c’è un forte legame con l’esperienza biografica”, “ha sviluppato un’ossessione per il racconto della quotidianità, per fermare la vita quotidiana, usando una forte alternanza tra discorso alto e basso, citazioni letterarie molto colte e tanto linguaggio orale e modi di dire” con “un’estrema attenzione per il sessismo della lingua”.

Anita Raja prima a sinistra a Festivaletteratura di Mantova (foto Gazzetta di Mantova, 7 settembre 2014)

Potrebbe essere in veste di collaboratrice della casa editrice E/O che la Ferrante è venuta a Ferrara alla fine degli anni Settanta? Improbabile: il nome della Raja compare per la prima volta su opere del catalogo E/O solo quattro anni dopo il rapimento Moro, nel 1982, nel ruolo di autrice 29enne della traduzione dal tedesco e delle note a corredo della pubblicazione di ‘Nozze a Costantinopoli’ di Irmtraud Morgner, poi nel 1984 per la prima traduzione di opere di Christa Wolf (‘Cassandra’ e ‘Premesse a Cassandra. Quattro lezioni su come nasce un racconto’). Da lì in poi è lei che firma tutta la versione italiana dell’opera della Wolf, fatta conoscere qui proprio grazie a questa casa editrice e alle sue traduzioni.

Nel frattempo, però, nel catalogo della casa editrice fa la sua comparsa pure il nome dell’autrice Elena Ferrante, al debutto nel 1992 con ‘L’amore molesto’. La pubblicazione coincide con l’avvio della collana di ‘narrativa italiana’ all’interno di un catalogo fondato inizialmente con l’obiettivo di “far conoscere la letteratura contemporanea dei paesi dell’Est”, e allargato in seguito – come spiegano gli stessi editori nella presentazione online – ad altre letterature. Il nome della Ferrante riappare in catalogo nel 1996 per la seconda edizione de ‘L’amore molesto’ ridato alle stampe dopo l’uscita del film di Mario Martone nel 1995. Del 2002 ‘I giorni dell’abbandono’, seconda opera letteraria firmata Ferrante, poi nel 2003 ‘La frantumaglia’ che è invece un resoconto della sua esperienza di scrittrice, nel 2005 la versione inglese del secondo romanzo intitolato ‘The Days of Abandonment’ per i tipi di Europa Editions (consorella americana fondata dagli stessi proprietari della E/O, ma con sede a New York), nel 2006 il romanzo ‘La figlia oscura’, nel 2007 il racconto per bambini ‘La spiaggia di notte’, nel 2011 il primo capitolo de ‘L’Amica geniale’, seguito nel 2012 dal secondo ‘Storia del nuovo cognome’, nel 2013 dal terzo ‘Storia di chi fugge e di chi resta’ e nel 2014 dal quarto e ultimo ‘Storia della bambina perduta’.

Ormai entrata nel turbine del coinvolgimento, la possibilità di un passaggio a Ferrara della Ferrante riesce ad accalorare me, così come accalora l’amica di letture con cui ho percorso uno dopo l’altro i suoi romanzi in una rete di collaborazione che ci ha fatto mettere insieme i quattro volumi tra regali, acquisti e prestiti.

I quattro volumi della serie ‘L’Amica geniale’ (foto Giorgia Mazzotti)

Quello sperimentato in prima persona da chi è rimasto conquistato dalle vicende de ‘L’Amica geniale’ è l’effetto a cui gli americani hanno dato il nome di ‘Ferrante fever’, una sorta di slogan e hashtag lanciato da una piccola libreria degli Stati Uniti e poi reso ufficiale con la produzione del film-documentario che ha questo stesso titolo, diretto da Giacomo Durzi, uscito nelle sale nell’autunno 2017 e ancora visibile sui canali di Sky. Il film dà voce alle testimonianze entusiastiche raccolte soprattutto negli Stati Uniti anche da parte di noti scrittori americani e fa sentire meno soli nel proprio entusiasmo che invece qui – nella ristretta cerchia delle persone che frequento – ha finora avuto esiti alterni. Tra i sei amici e familiari che conosco che hanno letto ‘L’amica geniale’ sono solo tre (inclusa me) e l’hanno amata così tanto, mentre altrettanti (inclusa mia madre) ne sono stati quasi urtati, trovandola troppo avvezza a rovistare nel torbido dei sentimenti interiori e nella realtà cruda che circonda i personaggi di una Napoli piena di ombre dal sapore neo realista.

Una delle foto di Giuseppe Di Vaio su The Guardian sulle tracce dei luoghi de ‘L’Amica geniale’ di Elena Ferrante

Diventa allora quasi commovente scoprire quanto si siano appassionati i nostri compagni di lettura statunitensi. Un interesse testimoniato anche attraverso le recensioni pubblicate da autorevoli testate giornalistiche. Su ‘The Guardian’ la rubrica ‘The Little Library café’ firmata da Kate Young si è adoperata persino per rintracciare e realizzare le ricette di alcuni dolci citati nel primo e nel terzo volume della serie (i dolci napoletani al pistacchio nell’articolo pubblicato il 22 ottobre 2015 e le frittelle fiorentine in quello del 21 gennaio 2016). Per non dire dell’interesse turistico-geografico con una sorta di guida ai luoghi in cui la storia è ambientata. Il New York Times prima (14 gennaio 2016) e lo stesso The Guardian poi (7 novembre 2017) si prendono la briga di dar corpo alle immagini napoletane evocate nei libri con tanto di mappa geografica del rione e delle vie della città frequentate dai personaggi romanzeschi. The Guardian affida al fotografo partenopeo Giuseppe Di Vaio un intero reportage in giro per i quartieri di Napoli a immortalare i luoghi che possono corrispondere a quelli narrati: il tanto nominato “stradone” del rione Luzzati, la scuola elementare che potrebbe essere quella frequentata da Lila e Lenù, una pasticceria e un bar che danno forma e colore a quelli descritti sulle pagine, persino il famigerato tunnel di via Gianturco che le due amiche nel primo romanzo imboccano di nascosto da sole per andare nel centro di Napoli.

‘The Guardian’: la ricetta delle frittelle ispirata da ‘L’Amica geniale’, 21 gennaio 2016

A Ferrara che mappa di ipotetico passaggio potremmo tracciare? Tra gli anni Ottanta e Novanta c’erano Spazio Libri come libreria impegnata, il Centro documentazione donna-Cdd tra i centri donna italiani di più lunga tradizione (nato nel 1980 e ancora più che mai attivo), le sale delle biblioteche comunali, Feltrinelli che però apre la libreria ferrarese soltanto nel 1994, e poi diversi circoli. Potrebbe essere venuta in uno di questi posti l’autrice ancora sconosciuta per parlare dei libri che traduceva?

Il più accreditato potrebbe essere il Centro documentazione donna, da sempre attento a scrittrici di nicchia e sicuramente in linea con i temi e l’approccio letterario di un’autrice come la Wolf. La pista, però, va esclusa. La presidente del Cdd ferrarese Luciana Tufani racconta: “Gli editori della E/O hanno partecipato a nostre iniziative, ma non abbiamo mai avuto ospite Christa Wolf o la sua traduttrice, mentre ebbi occasione di incontrarle entrambe andando appositamente a Torino in occasione del Salone del libro (nel 1997, ndr)”. La sala Agnelli della Biblioteca Ariostea, in via Scienze 17 a Ferrara, potrebbe invece essere benissimo la famosa “saletta” a cui si fa riferimento nel romanzo, luogo possibile di presentazione e dibattito riservato perlopiù a incontri con gli autori e le autrici; ma non risulta che siano passate di qui Wolf o Raja. Durante il festival Internazionale a Ferrara (organizzato in anni recenti, dal 2007 ad oggi) la sala di Palazzo Paradiso è stata più volte riservata a momenti di riflessione sul tema della traduzione dei testi. Raja-Ferrante potrebbe esserci venuta anche solo come partecipante, professionalmente interessata all’argomento, e – al momento di scrivere il romanzo – la visita può averle dato lo spunto per citare il passaggio ferrarese, ambientandolo a quel punto in tutt’altra epoca. Il mistero rimane. Ma a ben vedere è il ventaglio di possibilità che intriga il lettore, già conquistato dai testi coinvolgenti, introspettivi e impudicamente intimi di questa scrittrice. E l’incognita – come è accaduto per l’identità misteriosa dell’autore – facilita l’elucubrazione, induce a far spaziare a tutto campo la mente in virtù di quell’intimità così forte che si crea nel corso delle oltre 1.700 pagine de ‘L’Amica geniale’.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, MN 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, BO 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici UniFe, Mimesis, MI 2017). Ha curato mostra e catalogo “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”.


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