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racconto di Patrizia Benetti

In primavera, nel cortile del monastero di Sant’Antonio in Polesine, il ciliegio giapponese colpisce gli occhi dei visitatori con un’esplosione di fiori rosa.
Una grigia mattina di gennaio suor Cecilia, una minuta donna di mezza età, trovò un cesto davanti al convento. Dentro c’era un tenero fagottino.
“Guardate. È una bimba!”.
Le consorelle si strinsero attorno alla creatura dalle gote arrossate dal freddo.
Suor Teresa, la madre superiora, chiese severa: “Cos’è questo trambusto?”.
“Il Signore ci ha fatto un dono!”, esclamò Cecilia entusiasta.
Anche Teresa s’intenerì.
“La piccola ha fame, suor Celeste”.
“Ci penso io, madre!”, rispose soddisfatta la cuoca.
Le sorelle si strinsero di nuovo attorno alla piccola.
“Guardate come beve il latte”.
“Era affamata, poverina”.
“Dove dormirà stanotte?”.
“Nella stanza di suor Cecilia. È stata lei a trovarla”, disse suor Teresa.
La minuta sorella sfoderò uno splendido sorriso.
L’indomani, la superiora disse: “Chiamate don Simone. Dobbiamo battezzarla”.
“Che nome le daremo?”, chiese la cuoca.
“Non so…”, replicò lei pensierosa.
“Eleonora”, rispose timida Cecilia.
Le sorelle volsero lo sguardo verso di lei. Il rossore le dipinse le guance.
“Eleonora. Sì, suona bene”, commentò Teresa.
“Che ne sarà della bimba?”, chiese la madre superiora al parroco.
“Dovrei portarla all’orfanotrofio”, rispose mesto l’uomo.
“Sarebbe un vero peccato rinchiuderla in quel grigio edificio. Dovrà indossare una divisa, sarà come vivere in una prigione”.
“Noi dobbiamo solo rispettare le regole”, replicò don Simone.
Qui invece sarebbe accudita con amore”, continuò decisa suor Teresa.
Il giovane parroco annuì. Sorrise stringendo l’occhio alle sorelle, inforcò la bicicletta e si recò in parrocchia a dire Messa.
La piccola portò il sole tra quelle fredde mura.
Nel silenzio del convento risuonavano le risate argentine di Eleonora.
Sembrava una bambola di porcellana, con le guance rosa, i grandi occhi celesti e i riccioli biondi.
Suor Cecilia la imboccava, le confezionava deliziosi vestitini color pastello, si attardava a giocare con lei, l’aiutava a fare il bagno, a vestirsi. Inoltre fu la sua prima maestra. Le insegnò a leggere, a scrivere e a far di conto.
Tra loro nacque un rapporto speciale.
Quando un’altra monaca portava Eleonora nella sua stanza, la piccola s’imbronciava e reclamava a viva voce la “sua” Cecilia.
S’impuntava la monella e riusciva ad averla sempre vinta.
Si abituò presto alle abitudini delle monache.
“Suona la campanella. È ora della preghiera. È domenica. C’è la Santa Messa. Dov’è il parroco?”
“Sono qui, Eleonora”, diceva il piccolo uomo vestito di nero.
“Ciao don Simone”, e correva a tirargli la barba.
“Piccola impertinente”, replicava lui fingendosi offeso.
La bambina trascorreva il lungo inverno tra le mura del convento.
Quando arrivava la bella stagione correva nel cortile dove svettava il ciliegio in fiore.
Era un tripudio di delicati petali rosa.
“Sono qui, Cecilia! Vieni a prendermi, se ci riesci”.
“Dove sei? Arrivo!”, rispondeva gioiosa la suora.
“Tira la palla”.
“Andiamo sull’altalena”.
“Si è fatto tardi. È ora di rientrare”.
“Altri cinque minuti, suor Cecilia”.
Il tempo trascorse veloce. La bimba festeggiò il sesto compleanno.
Cecilia le fece indossare un abitino fucsia, un paio di sandaletti nuovi, le raccolse i capelli in una treccia e la fece specchiare.
“Quella sono io? Che bella! Grazie Cecilia”.
“Andiamo di sotto a festeggiare”.
Suor Celeste aveva preparato una grande torta al cioccolato con ben sei candeline rosa. Le suore erano radunate nella saletta buona. Quando Eleonora fece capolino la accolsero con un applauso. C’era anche don Simone. La bimba gonfiò le guance e soffiò spegnendo tutte le candeline. Quindi espresse un desiderio: rimanere sempre lì. Quella era la sua casa. Il destino però aveva in serbo per lei altri progetti.
La madre superiora una mattina riunì le consorelle e, con fare grave, disse loro: “É giunto il momento. Eleonora ci deve lasciare. Ha bisogno di una famiglia, di un’istruzione, di una vita sociale”.
Suor Cecilia non disse nulla ma si sentì morire.
“C’è una coppia di coniugi che fa al caso nostro. Sono brave persone. Non possono avere figli”, continuò suor Teresa.
“Chi avvertirà Eleonora?”, chiese suor Celeste impallidendo.
“La saluteremo tutte insieme. Il distacco sarà doloroso ma inevitabile. Noi abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere. Ora dobbiamo lasciarla andare”, Commentò decisa la superiora.
Quando venne il momento, fece cenno a Cecilia di preparare la piccola.
La monaca aprì le tende della cameretta.
“Forza pigrona. Sono le otto”, disse cercando di mostrarsi allegra ma non ci riuscì.
“Che cos’hai?”, chiese Eleonora che aveva imparato a leggerle dentro.
“Nulla. Alzati e vatti a lavare. Io intanto ti preparo il vestito da indossare”.
“Un abito nuovo? E una valigia? Dove mi portate?”, chiese impaurita.
“Farai un breve viaggio. Suor Teresa ti dirà tutto nei particolari”.
Eleonora ubbidì imbronciata, quindi scese le scale piano piano. Rifiutò la mano di Cecilia. Si sentiva tradita.
La madre superiora le parlò.
“Avrai una famiglia vera, andrai a scuola, conoscerai tanti bimbi della tua età. Sarai felice”,
“Non voglio andare via”, commentò la piccola scoppiando in lacrime.
“Non si può fare altrimenti”, replicò la suora.
“Voglio rimanere qui”.
“Non hai voglia di vedere cosa c’è là fuori. Ti attende un mondo nuovo, nuove esperienze. La vita è bella. Andrai finalmente a scuola. Conoscerai bimbi della tua età. Studierai, fari sport, avrai tante amicizie”, disse Cecilia.
“Ti sei stancata di me”.
“Non è vero, ma è ora che lasci il nido. Vola usignolo mio, non avere paura”.
“Non mandarmi via, ti prego”.
Fu straziante strappare Eleonora dalle braccia di Cecilia.
“Ti porterò sempre nel cuore”, sussurrò la suora rintuzzando le lacrime.
“Facciamo il tifo per te. Tornerai presto a trovarci”, disse suor Celeste.
Eleonora ebbe la fortuna di essere affidata si coniugi Alessandri, entrambi insegnanti. Dopo aver superato il doloroso distacco da colei che era stata sua madre per tutti quegli anni, la bambina si ambientò. Davide e Mirella furono genitori attenti.
Grazie a loro frequentò la scuola con ottimi risultati. Era curiosa, avida di sapere, di imparare sempre cose nuove.
Studentessa modello, fu iscritta al liceo classico.
Quando si diplomò ottenne il permesso di rivedere suor Cecilia. Quella radiosa mattina di luglio la ragazza prese la bicicletta e pedalò veloce fino al convento.
Il cuore le batteva forte.
Fu accolta con calore dalla madre superiora e salutò una a una le consorelle. Quando apparve suor Cecilia le volò tra le braccia.
“Ciao signorina”, disse la donna. Aveva gli occhi lucidi.
Trascorsero insieme due ore, a raccontarsi velocemente ciò che era accaduto in quei lunghi anni di lontananza.
Quando apparve la cuoca, suor Celeste, Eleonora capì che era finito il tempo. Fece una carezza a Cecilia e corse via.
“Addio figliola”, sussurrò la monaca.
La ragazza dai folti ricci biondi si iscrisse alla facoltà di medicina.
Conobbe Stefano, studiarono insieme con profitto. Presto si accorsero di essere innamorati. Furono costanti nel loro percorso formativo.
Lui divenne chirurgo, lei si specializzò in neuropsichiatria infantile. L’amore era sempre più vivo nei loro cuori. Quando decisero di sposarsi Eleonora volle presentare Stefano alle monache.
Mano nella mano s’inoltrarono nel cuore della città. Era una profumata mattina primaverile.
Le sorelle li accolsero con gioia. Eleonora si guardò intorno ansiosa. La madre superiora abbassò lo sguardo.
La giovane donna sgranò gli occhi stupita. Impallidì poi si riprese.
“Quando? Come?”, chiese con voce tremante.
“Due mesi fa. Il suo fragile cuore ha ceduto all’improvviso. Mi ha detto di consegnarti questa”.
Eleonora rintuzzò le lacrime e strinse forte a sé la lettera.
Era tutto ciò che le rimaneva di Cecilia.
Quindi volse lo sguardo verso il ciliegio in fiore.
Contemplò i delicati fiori rosa, così fragili da spezzarsi fra le dita.

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