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25 Giugno 2014

Ali e la moschea

Tempo di lettura: 3 minuti


Da MOSCA – Sono nel taxi, immersa nel traffico moscovita, un mese di giugno ancora freddo ma tanta gente per le strade. C’è chi si copre il viso per il vento che soffia costante e imperterrito, chi tira su il cappuccio dell’impermeabile appiccicato, infastidito da una pioggerellina leggera che spazza via maquillage, rossetti e pettinature appena fatte.
Sono al semaforo e guardo fuori dal finestrino di un’automobile che fa lo slalom fra le pozzanghere. Percorro la ulitsa Schepkina, ed ecco apparire la grande moschea, ancora in costruzione, quella che diventerà, dicono, la più grande della città di Mosca. Scoprirò poi, che quella storica moschea, costruita nel 1904 e bell’esempio di architettura islamo-tatara, era stata abbattuta nel 2011 per gravi danni strutturali e relativi rischi per le persone che la frequentavano; secondo altri, invece, la moschea non era allineata con la Mecca, diventando, così, un luogo senza valore: era stata, allora, smantellata e deciso un ampliamento sulle stesse fondamenta, quello in corso oggi.
Intanto, sono attratta da un piccolo smile disegnato a inchiostro nero sul muro di fronte, due occhietti e una mezzaluna sorridente.
Strana questa immagine, una mezzaluna che sorride, la bocca di una figurina, e una mezzaluna d’oro che simboleggia l’Islam, svettante proprio di fronte alla moschea. Bizzarro accostamento, casuale ma significativo. Sono sicuramente io a vederci una somiglianza, un qualche legame, ma la cosa mi colpisce e fa volare la mia fantasia.
La moschea è avvolta dalle impalcature, quasi da esse abbracciata, ma fra le maglie serrate del cantiere polveroso vedo aggirarsi, in mezzo ai sacchi di cemento e ai segnali di lavori in corso, un giovane dal capo coperto. La classica barba lunga.
Intorno vi sono banche, uffici, farmacie, negozi di fiori e di produkti (i classici negozi che hanno un po’ di tutto e che in Italia sarebbero tenuti da cinesi o pakistani).
La vita scorre mentre il giovane cammina a capo chino, parlando da solo. Pensoso.
Chiedo al tassista, metà in russo e metà in inglese, se quell’uomo che tanto m’incuriosisce sia un habitué del quartiere.
Il semaforo è sempre rosso, come rossi sanno essere qui; quanto a lunghezza sono imbattibili (le strade sono enormi), ma a me ora va benissimo perché voglio osservare.
Quel ragazzo è Ali, mi dice, vive nel quartiere da qualche anno. Qualcuno dice provenga dall’Algeria, qualcun altro dall’Iraq. Nessuno conosce veramente la sua storia, forse per diffidenza, forse per noncuranza, forse, semplicemente, per difficoltà linguistiche. Si sa solo che Ali, ogni mattina, passa davanti alla moschea, la guarda, la osserva, controlla i lavori e il loro avanzamento, vigila sui risultati. Con accuratezza, attenzione, precisione e… amore. Forse, nel suo paese, ne ha costruite tante, magari era un bravo e solido muratore venuto da lontano. Magari ne ha costruite in pietra, in cemento o ha partecipato alla rivisitazione annuale collettiva di strutture di sabbia, come quelle maliane di Djenne. Chissà. Qualcuno addirittura gli attribuisce un’aura quasi mitologica, dicendo in giro che Ali è il nipote di uno degli architetti della storica moschea, arrivato a vigilare che i colori e le magie di quell’antico edificio restino impressi nell’animo e nello spirito dei nuovi costruttori.
Qualcuno ha fatto caso alla sua costante vigilanza, chi si è insospettito, chi si è allarmato-inquietato-preoccupato, chi ha ignorato, chi ha solo notato che lui misura con gli occhi l’altezza del minareto, ne valuta la distanza dal cielo terso, attentamente. Più la moschea cresce, più Ali sorride, come sorride quel disegno sul muro.
Intanto il semaforo diventa verde ed io saluto con un cenno Ali, che mi sorride a sua volta. Credo abbia capito che ho capito. La mia giornata improvvisamente diventa più piacevole e leggera.
Domani passerò ancora per quella strada e insieme al piccolo tratto disegnato sul muretto valuterò quanto cresce la felicità. Magari lo vedrò mutare, vedrò un sorriso più grande e Ali passeggiare sempre intorno a quelle impalcature, vigilante.
Qualcuno pensa che quando la moschea sarà terminata, Ali andrà altrove.
Passerò di nuovo fra qualche giorno e poi ancora fra qualche mese per vedere come avanzano i lavori.
Sono sicura, anch’io, che quando non vedrò più Ali sarà perché i lavori saranno terminati. Se e quando Dio vorrà.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.


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