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L’AMMINISTRAZIONE DEGLI ESTENSI A FERRARA / 4

Che la conquista del potere da parte di Azzo VII d’Este (oggi ricordato come Azzo Novello), nel 1240, abbia significato per Ferrara la perdita dell’autonomia comunale, tramite l’instaurazione di un governo autoritario, è cosa ben risaputa. E che il fiscalismo estense sia stato, almeno all’inizio e in altri momenti storici, uno fra i più severi è altrettanto scontato. Tuttavia «Le spese pubbliche dello stato estense seguirono una linea costantemente ascensionale […]. I beni demaniali estensi erano costituiti dalle terre e dai boschi, dai palazzi e dalle chiese, nonché dal commercio […]. Soprattutto le incette dei grani furono all’ordine del giorno; ma va ricordata la funzione benefica talora espletata da siffatti ammassi privati del sovrano, quando – e lo ricordano cronisti spesso piuttosto liberi nei loro giudizi verso gli Estensi – parte di quelle scorte veniva distribuita alla popolazione affamata o venduta a prezzi assai modici e arrendevoli».*
Ad esempio nel 1505, allorché Alfonso I si avvicendò ad Ercole I, il quale aveva quasi dissestato le finanze con le spese di guerra e nelle grandiose opere edificatorie, il giovane duca affrontò con saggezza la situazione economica ed amministrativa di Ferrara. Da un lato tacitò amici e parenti, dividendo fra loro gli oggetti preziosi appartenuti al defunto padre ed elargendo adeguati appannaggi ai fratelli, cautelandosi così da future lamentele nel ristretto ambito della famiglia e della corte. Dall’altro, abolì i dazi e le gabelle istituite dal padre, acquistò grano a Venezia e lo fece distribuire ai più indigenti per alleviare i danni causati dalla carestia e, nello stesso tempo, si prodigò nel fronteggiare una spaventosa epidemia che stava decimando la popolazione ferrarese. Non mancò, inoltre, di guadagnarsi ulteriore consenso popolare spogliando di beni e di potere alcune illustri famiglie, come gli Strozzi, ormai invise per la loro arroganza e avidità all’intera cittadinanza.
Anche Ercole II si distinse per la notevole rettitudine. Innanzitutto, evitò per quanto possibile di partecipare alle guerre del suo tempo, ricorrendo abilmente a idonei pretesti diplomatici; in secondo luogo, «Non appena al potere, aveva cercato di porre un riparo alla gravosa e preoccupante situazione finanziaria lasciatagli in eredità dal padre. L’erario era esausto e pare, tutto sommato, che il duca sia riuscito a reintegrarlo senza infierire sui sudditi e che anche in seguito si sia guardato dall’imporre tasse troppo gravose se non in circostanze del tutto eccezionali»**. Così pure il suo successore Alfonso II, per quanto sia stato uomo ben più distaccato e pragmatico, destinò considerevoli aiuti alla sua gente terribilmente provata dalle paurose scosse di terremoto verificatesi fra il 1570 e il 1572. Né la sua seconda moglie Barbara d’Austria lesinò la propria dedizione agli umili e agli infelici, fondando il Conservatorio delle orfane di santa Barbara allo scopo di ospitare fanciulle rimaste orfane per le calamità o abbandonate dai genitori.

*L. Chiappini, Gli Estensi, Dall’Oglio, Varese 1988, pp. 328-9.
**Ibidem, p. 251.

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Riccardo Roversi

È nato a Ferrara, dove si è laureato in Lettere e vive tuttora. È critico letterario e teatrale per varie testate (anche on-line) e direttore responsabile di alcuni periodici. Ha scritto e pubblicato numerosi libri: poesia, teatro, saggistica. La sua bibliografia completa è consultabile nel sito: www.riccardoroversi.onweb.it.


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