da: ufficio stampa giunta regionale Emilia-Romagna
Al via un ciclo di seminari promossi dalla Regione per le piccole e medie imprese che vogliono esportare: l’ostacolo rappresentato da forme surrettizie di protezionismo da parte di Paesi extraeuropei.
Bologna – Non solo dazi. Spesso sono le barriere fitosanitarie a rappresentare il principale ostacolo all’export del made in Italy. Barriere talvolta necessarie per impedire la crescente diffusione di organismi nocivi, ma più spesso introdotte come forme surrettizie di protezionismo da parte di Paesi extraeuropei. Ciò vale soprattutto per il settore agricolo e agroalimentare e per questo l’assessorato regionale all’Agricoltura ha dedicato a questo argomento il primo dei cinque seminari che da qui a giugno affronteranno diverse tematiche legate all’internazionalizzazione, secondo la strategia del dopo Expo. Con un obiettivo: aiutare le piccole e medie imprese ad andare sui mercati esteri, mettendo in campo una pluralità di strumenti.
Nel 2015 le esportazione agroalimentari dell’Emilia-Romagna sono cresciute del 6,2%. Un dato positivo, ma c’è un potenziale ancora inespresso che va recuperato. Negli appuntamenti successivi, si parlerà di “Barriere tariffarie, commerciali e di accordi internazionali”, “Strumenti, nuove tecnologie e incentivi per l’export delle imprese agroalimentari: dall’e-commerce, alla Borsa telematica”, “Innovazione, start up e partnership con le istituzioni scientifiche”, “Tutela dei marchi e lotta alla contraffazione”.
Nel 2015 rilasciati 8.694 certificati per l’export
Si chiama certificato fitosanitario per l’export e rappresenta il via libera per vendere un determinato prodotto in un Paese terzo. L’ultima tappa di un lavoro prezioso, reso ancora più complesso da globalizzazione e cambiamento climatico. Un lavoro che parte dalla terra e si snoda lungo l’intera filiera. Nel 2015 il Servizio fitosanitario regionale dell’Emilia-Romagna ha rilasciato 8.694 certificati per l’export e 1.177 per l’import.
Considerando solo il settore della frutta fresca, in testa c’è il kiwi con 973 certificati e una quantità esportata di quasi 18,5 milioni di chili. Il Servizio emiliano-romagnolo collabora con quello nazionale per la stesura dei dossier che portano all’apertura di un nuovo mercato. E’ il caso del Sud Africa che nel 2011 aveva bloccato le importazioni di kiwi italiani per la presenza di acari non ammessi (anche se non sono noti in Italia danni di questi organismi). Nel 2013 il mercato è stato riaperto e fino ad ora sono stati spediti 33 container, senza alcun problema. Lo stesso vale per le esportazioni di kiwi in Cina e in Cile, la produzione in Romagna di piante per vivai israeliani, l’export di piante acquatiche verso il Canada. Ma non ci sono solo prodotti dell’agricoltura. Va ricordato ad esempio l’export di piastrelle verso gli Usa, spesso bloccate nei porti americani per la presenza negli imballaggi in legno o nei container di insetti o altri organismi non ammessi. Nel 2014 Confindustria ceramica ha predisposto in collaborazione con il Servizio fitosanitario regionale il programma Good Phytosanitary practices, un protocollo volontario di prevenzione cui ora aderiscono 116 imprese e nei primi sette mesi del 2015 si stima che le intercettazioni nei porti oltreoceano siano calate del 50%. Tra le trattative attualmente in corso a livello nazionale quelle con la Cina per una serie di prodotti tra cui riso, erba medica, farina di frumento; Corea del Sud per gli agrumi, Giappone per il kiwi, Sud Africa per pere, mele, uva da tavola; Canada ancora per l’uva da tavola; Taiwan per arance, pere e mele, Messico per le sementi di ortaggi. Sono invece concluse le trattive negoziali con Cina (kiwi e agrumi), Cile (ancora kiwi), Usa (pere e mele), Giappone (arance).
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