Vite di carta. Ago, filo e memoria
Di mercoledì, quattro giorni fa, sono andata in piazza dove è giorno di mercato per incontrare Francesco, bere un caffè insieme e ascoltare i ricordi che ha dei suoi genitori, Duilio e Ada, di professione sarti. Mi è stato chiesto di ricordare le sartorie che nel nostro paese dal dopoguerra in poi hanno confezionato abiti per tutti i poggesi e per le famiglie delle frazioni e della campagna.
L’articolo uscirà sul nuovo Quaderno Poggese nel dicembre di quest’anno, non ho molto tempo per rintracciare attraverso la memoria dei figli la vita lavorativa di Armando e Antonia, di Iader e Marina, di Bertino e Dina e di altri ancora. Nessuno di loro c’è ancora, se non la vispa e lucida Floriana, classe 1933, a cui l’altra mattina ho fatto visita senza preavviso ma con il piacere di trovarla bene, contenta di parlarmi delle sue memorie e del suo Onorio, col quale ha diviso il mestiere e la vita per molti anni.
Cosa mi aspetto di poter dire su questi nostri compaesani, che hanno vissuto ‘Qui ma non ora‘ e lavorato in casa oppure in un piccolo negozio nelle vie centrali del paese? L’intenzione è buona. Scrivo perché me lo chiedono alcuni conoscenti, non solo i figli degli interessati. Nel Quaderno 2018 ho raccontato com’era il mestiere di mio nonno, il calzolaio con la passione della musica lirica; per l’edizione 2019 ho cercato di ricostruire l’atmosfera della bottega di una coppia di gioviali salumieri, che il figlio desiderava venissero ricordati in occasione del centenario della nascita del padre.
E ora? Capisco che devo andare avanti. Ho dato inizio a un angolo dei Quaderni e l’ho chiamato Qui ma non ora proprio per recuperare e tenere con noi quelli del paese che nel pieno del secolo scorso ne hanno costituito il tessuto umano e professionale. Quelli che sapevano cucire, costruire mobili e case, fare scarpe e cappelli, i protagonisti delle microstorie insomma.
Mi piace che si sia sparsa la voce e quest’anno mi siano state consegnate le foto dei signori che ho nominato sopra: nessuno si è fatto sentire per i lunghi mesi dell’anno scolastico, ma alla fine delle lezioni è arrivata sulla mia scrivania una busta con le preziose immagini di Onorio mentre stira una capo appena confezionato e le foto di altri artigiani dell’ago e del filo come lui. “Tu che sai scrivere, metti insieme un po’ di ricordi sui nostri sarti”.
Io che scrivo sono piena di tenerezza, anche se avverto che la mia è un po’ un’impostura: devo mettere il naso nella vita di persone che ho conosciuto ben poco e sento il rischio della approssimazione nel momento in cui approderanno sulla pagina del Quaderno, accompagnati dai ricordi racchiusi in poche righe e da una piccola foto a corredo. Però capisco che andrò avanti, se la mia penna può diventare il veicolo di una condivisione.
Queste sono persone vere. Non si tratta più del sarto a me tanto caro del romanzo dei romanzi, I promessi sposi, dove trionfa al capitolo XXIV come un bravo cristiano e un premuroso padre di famiglia. Offre ospitalità a Lucia appena liberata dall’Innominato e alla madre Agnese: entrambe hanno bisogno di avere vicino persone di cuore per riprendersi dal trauma che hanno subito.
Non è più quel personaggio secondario che promettevo di incontrare oltre la metà della storia, quello che – dicevo ai ragazzi – ci somiglia tanto perché nella sua piccolezza non sa reggere l’incontro con una persona celebre come il Cardinal Borromeo.
Avrete un poster del vostro cantante preferito nella vostra camera – dicevo – e provate allora a pensare come reagireste a un incontro improvviso con lui. Quando il Cardinal Borromeo viene a ringraziare la sua generosa “famigliola”, il sarto vorrebbe “farsi onore” ma si agita e non riesce a dire nulla, soltanto un “insulso si figuri!”.
Lui, che sentiva di essere un uomo di lettere mancato, “che sapeva leggere, che aveva letto in fatti più d’una volta il Leggendario de’ Santi, il Guerrin meschino e i Reali di Francia”, vorrebbe dare sfoggio della propria cultura quando il Cardinale viene a casa sua. Invece resta schiacciato dall’importanza del momento e dalla statura del personaggio che ha davanti.
Alcuni capitoli più avanti, ecco tuttavia l’episodio che ho chiamato “Il sarto 2- la vendetta”, per strappare un sorriso agli studenti e invogliarli a continuare la lettura. È riferito alla visita che egli riceve tempo dopo da Agnese, Perpetua e Don Abbondio di ritorno al loro paese dopo il periodo trascorso nel castello-rifugio dell’Innominato, che, divenuto uomo del bene, li ha protetti dal passaggio delle truppe dei Lanzichenecchi.
I tre ospiti mettono un bel po’ di energia nell’animo del nostro sarto. Con Don Abbondio, che non ha la statura morale né il carisma del Cardinale, egli sa fare ampio sfoggio delle propria cultura, con ripetuti riferimenti ai libri che ha letto. Ma il meglio dell’ironia manzoniana viene fuori quando egli mostra ad Agnese una stampa con l’immagine del Cardinale” che teneva attaccata a un battente d’uscio, in venerazione del personaggio” e le dice con convinzione che non era somigliante, perché lui lo aveva osservato bene e da vicino proprio lì, a casa sua. “Noi, non c’ingannano, eh?”
Che momento di gloria. Saper dire alle persone comuni come lui che il Cardinale non è venuto raffigurato bene sull’antenato del poster che il sarto tiene in casa. Rifarsi della sconfitta su se stesso facendo valere sugli altri la ventura di avere avuto in casa Federigo Borromeo.
Sorrido anche stavolta dopo avere riassaporato l’episodio. Terrò presente che avere letto il Guerrin Meschino e I Reali di Francia mi accomuna pericolosamente al nostro sarto di carta. Di solito non mi succede, ma non vorrei montarmi la testa. Meglio se vado a incontrare i figli dei sarti poggesi, se ascolto le loro narrazioni e provo a far lievitare sulla carta il valore che ha avuto il mestiere dei loro genitori. L’intenzione è buona, dicevo. Li ricordiamo e li teniamo un po’ con noi.
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Roberta Barbieri
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