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11 Novembre 2019

Achilles Last Stand

Tempo di lettura: 3 minuti


La scorsa settimana mi sono sbronzato peso a una festa indetta per
celebrare l’anniversario della caduta del muro di Berlino.
Eravamo in tanti ma non mi ricordo molto.
Francamente non so neanche perché ero stato invitato e perché ho
deciso di andare.
Forse non avevo molto da fare quella sera o boh, forse mi sarò sentito
attratto dalla grande offerta di libertà e democrazia buttata lì un
tanto al chilo al tavolo del buffet.
Mi ricordo solo che a una certa ho intravisto Achille Occhetto in
disparte, proprio da solo in un angolo con una faccia strana intento a
versarsi dei whiskey come se non ci fosse un domani.
Peggio di quella volta che l’han filmato, devo dire.
Non mi ricordo se poi sono andato ad attaccar bottone al vecchio
Achille ma, da quel che mi è stato raccontato successivamente, pare
che io abbia finito col “dare in escandescenze” mettendo un po’ tutti
in imbarazzo.
Sono giorni che cerco di capire il perché di questa mia performance ma
forse c’entra Achille Occhetto, chi lo sa.
L’unico flash che ho bello piantato nel cervello è che a una certa è
partito un video di David Hasselhoff sparato sul telo bianco del
proiettore.
Il volume era altissimo e forse, guardandomi indietro, posso
ipotizzare di aver sbroccato lì.
A mia parziale discolpa devo dire che – senza negare le mie
responsabilità nell’aver messo un po’ tutti in imbarazzo – tutta la
situazione era già di per sé assai imbarazzante.
Ricordo che prima di uscire di casa, avevo letto sull’invito il menù
della serata, menù che prevedeva fra i primi piatti gli
“spaghetti-pollo-insalatina-e-una-tazzina-di-caffé” che da quel che ho
capito era proprio un sugo con tutte quelle cose frullate insieme
versate sugli spaghetti.
Dopo aver letto quella cosa mi ricordo che ho pensato “dio mio, il
Buongusto è davvero morto ma per fortuna io non mangio le bestie”.
Forse è stato quello a portarmi a bere oltremisura per poi finire a
insultare tutti mentre mettevo su dal telefono pezzi sparsi del
Complesso Accademico di Canto e Ballo dell’Esercito Russo “A.V.
Aleksandrov”, il comunemente detto “Coro dell’Armata Rossa”.
Ad ogni modo tutto questo mi pare più impressionante che importante e
non mi pento per niente di quello che ho fatto.
La cosa importante è che è finita anche l’epoca delle semplificazioni
a buon mercato, caduta proprio come un vecchio muro che nell’impatto
ha poi sollevato un gran polverone di calcinacci che a distanza di
anni ancora impediscono a gran parte del genere umano di guardare un
po’ più in là di quel polverone su cui David Hasselhoff balla tuttora
allegramente.
Adesso non so dire se questo sia meglio o peggio delle semplificazioni
a buon mercato che prima tanto disprezzavo.
Una cosa certa però è che ormai se una cosa non viene trasformata in
una specie di gif è un gran bel casino anche solo soppesarla,
figuriamoci contestualizzarla e andare magari un po’ più a monte.
Ma vabbè, forse è meglio chiuderla qui che poi altrimenti si rischia
di diventare pesanti come Scorsese, Coppola e Ken Loach.
Buona settimana e mi raccomando, beviamo tutti quanti responsabilmente.

Inno dell’Unione Sovietica (Coro dell’Armata Rossa, 2017)

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