Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.
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China Cat Sunflower di Grateful Dead
Oggi è il 1° agosto ed è un giorno che significa solo una cosa: auguri Jerry Garcia!
Il 9 agosto poi, sarebbero anche vent’anni esatti da quando ‘sto panzone se n’è andato.
E quest’anno i Dead superstiti hanno celebrato i 50 anni tondi tondi della band con dei concerti di addio.
Ero scettico, ma per quel po’ che ho visto sono andati parecchio bene.
È da quando ho 16 anni che ascolto i Grateful Dead.
All’epoca ero abbastanza ciccio e somigliavo vagamente a Jerry nel suo periodo sbarbato.
Me ne stavo chiuso in casa per delle ore, seduto in poltrona a giocare a tetris con Live/Dead in cuffia a volumi assurdi.
Poi smettevo e provavo a tirarmi giù Dark Star, il mostruosissimo primo pezzo dell’album.
Non me la cavavo neanche troppo male e con gli anni ho scoperto che quell’allenamento alla lunga mi ha fatto bene.
Col tempo poi un po’ mi è passata. Ma confesso che resterò sempre un Deadhead.
E quest’anno ho anche avuto una bella ricaduta davvero lunga.
Forse non avrei nemmeno il diritto di definirmi con quel termine così importante perché non ho fatto in tempo a seguirli, soprattutto per motivi geografici oltre che di età.
Ma, come ci dicevamo io e un mio amico Deadhead, c’è poco da fare, una volta che ti vai a inscimmiare con quella banda di sballoni ti passerà anche per periodi lunghi, sì.
Ma sotto sotto resterai un fan per tutta la vita.
Se ne possono dire tante su Garcia e sui Dead.
E come sempre il meglio è sotto la patina di stereotipi.
Stereotipi che vanno da “LSD”, “meglio live che su disco”, “pallosissimi” all’inconcepibile, per me, “sono invecchiati malissimo”.
Le valutazioni più lucide che ho sentito sono quelle di “ex insospettabili” (maledetti vetusti diktat di certi punk!), come Lee Ranaldo dei SY e Curt Kirkwood dei Meat Puppets.
Ed echeggiano quelle del mio amico: fra Deadhead ci si annusa sempre e ci si riconosce.
E questo vuol dire che il loro culto, basato semplicemente sui concerti, è tuttora un trionfo riuscitissimo.
Ma anche una delle operazioni più oneste mai viste nel campo della musica popolare.
A loro interessava solo quello: suonare.
Questi qui quasi suonavano anche mentre dormivano, porca vacca,
E, infatti, il mio amico mi diceva l’altro giorno che a Jerry, verso la fine, bisognava ricordare che pezzo stava suonando durante il pezzo stesso.
Pesissimo, dico io. Però ci stava dentro lo stesso.
Come ci stava dentro la loro apertissima politica di laissez-faire con i fan che registravano i loro concerti e poi se li vendevano e scambiavano.
Gli lasciavano persino un’area apposita davanti al palco!
Un approccio piuttosto lungimirante per un gruppo degli anni ’60.
Roba che quasi anticipa l’idea di crowdfunding e premi ai fan.
Quindi sì, i dischi sono inequivocabilmente roba che odora di incenso, luccica come collane di perline, si apre come un fiorellone e altri luoghi comuni hippy.
Ma che male c’è?
Resta una delle più belle esperienze musicali di sempre.
Resta anche un ATTO POLITICO significativo che ha inciso e incide ancora oggi.
E tutto questo senza prediche e bandiere.
Solo due cose universali e sì, fricchettonissime: amore e musica.
Quindi tanti auguri Jerry e grazie di tutto.
Selezione e commento di AndreaPavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. xoxo <3
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