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da: CdLT CGIL Ferrara

Il dibattito di queste settimane sull’accoglienza dei profughi, pone in evidenza la complessità dei temi dell’immigrazione e della capacità delle nostre società di essere coerenti con i valori sui quali si sono costituite.
Non sono in cantiere interventi efficaci per ridurre i conflitti e i processi di destabilizzazione che investono aree sempre più estese ai confini dell’Europa. Gli interventi della comunità internazionale finora hanno aggravato le situazioni invece che risolverle.
E in questo quadro sarà sempre più difficile distinguere tra profughi e richiedenti asilo da un lato e migranti per ragioni economiche dall’altro.
Il dibattito sui “tetti” e sui “numeri sostenibili” è quindi privo di senso, presupponendo che qualcuno abbia la mano su una valvola in grado di regolare questi flussi.
In realtà i processi in atto, più per la loro dinamica che per la loro dimensione numerica, vanificano l’idea, un po’ illuministica e un po’ utilitaristica, della regolazione dei flussi sulla base della capacità di accoglienza: i posti di lavoro e le risorse disponibili per l’integrazione, risorse che poi nessuno ha mai visto se non nell’impegno dei bilanci sempre più striminziti degli Enti Locali.
Se diventano invivibili, per qualunque ragione, i luoghi nei quali le persone sono nate, e queste preferiscono rischiare la vita pur di provare a cambiare il destino a cui sembrano condannate, e scelgono l’ Europa (come territorio e come contesto sociale ) come luogo sul quale riporre questa speranza, l’ Europa è chiamata in causa e deve scegliere.
La difficoltà a una gestione solidale di poche decine di migliaia di profughi ci dice come sia avanzato il processo di negazione delle proprie promesse costituzionali, del resto già ampiamente segnalato dai risorgenti nazionalismi, dal ritorno dell’antisemitismo, dalle discriminazioni verso le minoranze, dalla chiusura verso l’immigrazione. Chi non vuole “perdersi” deve lavorare per cambiare il quadro che produce la invivibilità ma anche cambiare il paradigma sull’accoglienza e scegliere di vedere l’immigrazione come risorsa demografica e farci i conti.
Cambiare davvero il quadro che rende invivibili intere aree (la versione seria del rozzo “aiutiamoli a casa loro” che fa il paio con il “stiano a casa loro”) richiede scelte di politica internazionale alternative a quelle praticate finora: un grosso investimento nella cooperazione internazionale, un investimento a sostegno della crescita delle società civili, il contrario insomma dell’esportazione delle “democrazia” con i caccia bombardieri.
E serve tempo.
Per questo cambiare il paradigma dell’accoglienza è la scelta più saggia. Non sarebbe buonismo ma realismo e lungimiranza, soprattutto per un Paese come l’Italia che vive un drammatico declino demografico.
Da tutte le statistiche risulta che il contributo all’economia degli immigrati è stato positivo in tutti sensi: non solo perché hanno sostenuto con il loro lavoro interi settori e filiere della nostra economia più pregiata, ma anche perché hanno dato di più di ciò che hanno ricevuto anche in termini di rapporto tra risorse versate (tasse e contributi) rispetto a quanto abbiano ricevuto da uno stato sociale che non gli è sempre stato amico.
Forse è a questo realismo che richiamava don Domenico con il suo intervento. E noi siamo d’accordo.
Ma cambiare il paradigma significa costruire il contesto nel quale accoglienza e integrazione siano accompagnati dal consenso necessario e ciò può avvenire solo se si operano due scelte:
– una svolta sul piano della crescita e dell’occupazione che contribuisca a rasserenare la vista del futuro, chiudendo con le politiche liberiste di austerità che comprimono la domanda interna e il welfare a vantaggio delle sole imprese esportatrici;
– un rinnovato impegno alla coesione sociale, chiudendo la politica della contrapposizione dei soggetti sociali, giovani contro anziani, lavoratori autonomi contro dipendenti, lavoratori precari contro lavoratori stabili, lavoratori privati contro lavoratori pubblici, studenti e famiglie contro insegnanti, nell’illusione che una società frammentata si governi meglio senza l’apporto del consenso dei corpi intermedi.
Se si alimenta l’egoismo sociale poi è difficile costruire la solidarietà necessaria a far valere i principi di accoglienza e magari si finisce per fare l’occhiolino alle politiche di destra promettendo più investimenti negli inutili rimpatri forzati.
E anche a livello locale si può nell’immediato estendere il consenso attorno alle politiche di accoglienza se si allargano informazione, coinvolgimento e partecipazione delle forze sociali, come la CGIL chiede da tempo, per essere posta nella condizione di svolgere il ruolo che può competere a una grande organizzazione di massa che sa che la solidarietà non si invoca e non si predica ma si costruisce quotidianamente.

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