Si inizia e si finisce al buio, sul palco di Teatro Off; quell’oscurità tanto cara a Hoffmann e a Friedrich, a Schlegel e a Novalis.
Piccola perla del romanticismo tedesco, “Storia meravigliosa di Peter Schlemihl” di Adalbert von Chamisso è andata in scena a Teatro Off venerdì e sabato nello spettacolo “Una vita senz’ombra” diretto e interpretato da Giulio Costa e già presentato in occasione del Festival della Fiaba di Modena nella seconda edizione, il cui tema era “Ombra e male nella fiaba”.
“Volevamo riportare la fiaba alle origini – racconta Costa – ovvero un racconto orale fantastico che affonda le proprie radici nelle tradizioni più antiche. A questa storia mi sono appassionato molto, mi interessava mettere a fuoco i sentimenti di Peter Schlemihl, il protagonista, nei confronti della società. Mi sono calato nella narrazione, lavorando sul modo in cui, scoprendo il mondo e le vicissitudini negative che affronta, il protagonista sviluppa qualcosa di sé; come riesca a riscattarsi senza ombra. La solitudine a cui è condannato non è vissuta come una colpa, bensì come una via di uscita, al pari di una possibilità di uscire da se stesso e trovare una soluzione alla propria vita. Il mio Peter è un uomo che deve essere privato di tutto per potersi rimettere in gioco”.
Da un punto di vista linguistico, il testo è attualizzato grazie a una proposta verbale che glissa sulle forme letterarie arcaiche, più pure e ostiche, smussato quanto basta per rendere il testo originale più intelligibile e colloquiale.
Lo Schlemihl di Chamisso è l’autore stesso che si trova a fare i conti con l’essere un senza patria, lui letterato poetico e malinconico prima costretto a scappare dalla Francia allo scoppio della rivoluzione, poi a prendere le armi nell’esercito prussiano, infine respinto dal grande amore di gioventù Cérès Duvarnay. Si avvicina in questo al Kafka della “Metamorfosi”, che arriverà a pensare a se stesso come insetto, anche lui apolide nell’animo e dalla tormentata personalità; e a Goethe, suo contemporaneo, che già affronta il tema di vendersi l’anima al diavolo nel suo celebre “Faust”, cronologicamente a metà tra quello breve e fastoso dell’elisabettiano Marlow, e quello filosofico e cerebrale di Thomas Mann.
Eppure non è un uomo senza qualità, questo Peter. Il suo cognome anticipa la sua sorte, che sembra stabilita nel momento stesso in cui incontra il riccone Thomas John che già si è venduto all’offerente in grigio: lo “Shlemiel”, maschera del folklore ebraico, rappresenta il candido, l’ingenuo, lo sfortunato. Chi vive ai margini e non riesce a integrarsi con qualsivoglia classe sociale, tanto da non poter quasi essere considerato un essere di questo mondo – banalmente un uomo, altro legame di kafkiana memoria.
L’ombra non ha vita propria, ma è merce di scambio inconsapevole, srotolata via in un perturbante amalgama di voracità e totale indifferenza; è di una sostanza diversa da quella di Peter Pan che scappa dal suo proprietario, argento vivo che fa di testa propria. Nel testo originale, diventa ennesima prova di accettazione sociale e soprattutto della realizzazione di sé come individuo: in questo piccolo capolavoro, l’autore rielabora il tema della mancanza dell’ombra tipico di fiabe e racconti popolari come quello del Diavolo di Salamanca in cui il demonio tenta di rubare l’anima a un uomo ma riesce a portargli via solo l’ombra. Prendendogliela, lo condanna a essere privato dell’unica cosa che accomuna tutti, e di cui tutti vengono privati solo quando arriva la morte, e solo allora: chi scoppia di salute e chi è morente, chi è ricco e chi non ha un tetto sulla testa, chi è giovane e chi è vecchio. Somiglia a una metafora in cui si mette in guardia che è pericoloso desiderare qualcosa, e ancora di più lo è ottenerlo; l’unica speranza di salvezza reale è offerta da un bene super partes, dalla bellezza che si configura come pace armonica e laboriosa – non è un caso che Schlemihl trovi la serenità solo una volta venuto a conoscenza dell’ospedale costruito grazie al suo denaro.
L’uomo in grigio che si trova sulla strada del protagonista è un Mary Poppins che sciorina meraviglie dalla sua borsa magica piccola ma senza fondo; non per fare qualcosa di buono e utile, ma per comprare anime. Un satanasso che diventa il deus ex machina dell’ingenuo Peter che, disprezzato dagli uomini per la sua povertà e ignorato dalle donne per la sua timidezza, vede nell’offerta dell’uomo misterioso la possibilità di lasciare le sue misere spoglie: la ricchezza perpetua in cambio della sua ombra. Senza presagire che quella che sembra essere la soluzione a tutti i suoi problemi diventa foriera di un problema ben più grosso, un contrappasso a cui non può sfuggire. Una volta ottenuto prestigio economico, Schlemihl viene messo al bando e temuto proprio per quella particolarità che lo rende unico, certo, ma soprattutto diverso; una diversità non comprabile neppure con tutto il denaro del mondo, e a causa della quale non può sposare Mina, la donna che ama. Di nuovo bandito dal mondo della superficie, Schlemihl saprà riscattarsi in due modi: regalando al fedele servitore Bendel la prodigiosa borsa dispensatrice di denaro e problemi, e rifiutando un ennesimo patto che gli avrebbe portato via l’anima.
Ma Costa, nel momento stesso in cui le luci si abbassano e lui esce lentamente di scena, offre al pubblico la sua ombra, che pur lui non vede. L’attore sceglie due espedienti particolari per calarsi nella parte del protagonista: togliendosi le scarpe non appena entrato in scena, ribaltamento del fatto che alla fine della storia Peter entra in possesso degli stivali delle sette leghe; e dando le spalle al pubblico, voltandosi per andarsene per sempre. Incanto e ambiguità si alternano in una lettura che fa i conti con interiorità e pensiero di Schlemihl, ne propone una lettura-monologo intensa, dinamica e a tratti ironica.
Lo spettacolo sarà di nuovo portato in scena venerdì 13 e sabato 14 novembre, sempre alle 21.
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Giorgia Pizzirani
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