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Un “ambiente poetico” da animare con la propria presenza, un’esperienza di ascolto e riflessione in uno spazio e in un tempo individuale e comune insieme: è “Fortuna”, il lavoro di Isabella Bordoni all’incrocio fra poesia e installazione video-sonora con cui Ferrara Off apre al pubblico il nuovo spazio adiacente alla sala teatrale di via Alfonso I d’Este.
Un incontro, quello fra Isabella e Ferrara Off, che si basa su una piena corrispondenza di intenti: la poesia in “Fortuna” si fa, infatti, momento di incontro, accoglienza e accudimento reciproco tra abitanti e fra questi e la città, che accade nei luoghi di rigenerazione urbana e azione artistica culturale, proprio come sono quelli del baluardo del Montagnone.
“Fortuna”, come ci spiega Isabella, è un “progetto editoriale” che comprende “un pensiero intorno alla poesia, che è scrittura, voce, composizione acustica, struttura d’immagine”: è nato come nel 2004-2006 come “Sequenze in 6×6” e da allora ha vissuto varie vite, rigenerandosi ogni volta. Domani “Fortuna” rinasce una volta ancora, in una versione studiata specificamente per il nuovo spazio di Ferrara Off e per tutti coloro che vorranno abitarlo. Abbiamo fatto qualche domanda a Isabella per capire un po’ meglio questa sorta di esperimento poetico.

Bordoni
Isabella Bordoni © Marco Caselli Nirmal

“Non è indispensabile che la parola poetica si faccia scrittura, mentre è indispensabile che la parola poetica passi dalla voce, anche se muta. La parola poetica è sempre una voce”. Penso si possa partire da qui per descrivere la tua ricerca e anche “Fortuna”: l’esperienza della voce è fondamentale nel tuo lavoro.
Si è così, forse anche perché sono nata artisticamente con l’esperienza teatrale, nella seconda metà degli anni Ottanta. Poi lo spazio del teatro è diventato limitante per la mia natura artistica e ho rimesso al centro del mio lavoro la poesia, ma in una definizione piuttosto ampia: chiamo poesia non tanto la scrittura, ma un’attitudine, una modalità di stare al mondo, un atteggiamento verso l’esistenza. La voce porta la possibilità di stare dialetticamente nel mondo e questo è un valore che io metto al centro del mio lavoro.

All’interno di questa tua visione dialettica della poesia sta anche l’importanza del silenzio…
Sì, il silenzio non è mancanza di parola, ma una sua soglia. Non è tacere, è sospensione. In questo tempo di sospensione si prende respiro e si prendono le distanze.

Parliamo ora di “Fortuna”, tu l’hai descritta come una “poesia del silenzio”…
Nel caso di Ferrara non è del tutto così. Si richiede un’attitudine particolare all’ascolto profondo perché si rimette in ascolto un lavoro poetico, ma la mia presenza fisica è sottratta all’altro: sarò presente senza interpretare il lavoro dal vivo, perché questa è una versione registrata.
Però è anche vero che il silenzio è il contorno di ogni parola, quindi se vogliamo c’è anche qui. La particolarità sta nell’attenzione, nella cura richiesta per l’ascolto, perché c’è un flusso di parole piuttosto denso. Quello che faremo a Ferrara Off richiede un’attitudine particolare all’ascolto perché convoca una comunità intorno a una riflessione comune. Il nuovo spazio, finora vuoto, di Ferrara Off si presta bene a questo esperimento. E qui torniamo al silenzio, perché in fondo il vuoto della sala che apriremo domenica è anche una forma e una modalità, un’altra espressione del silenzio.

Cosa intendi quando dici che per questa versione ferrarese di “Fortuna” serve una particolare cura?
Per convocare le persone a questo incontro abbiamo sperimentato una pratica di invito abbastanza innovativa e personale. Io non sono ferrarese e la condizione di ‘relativamente straniera’ aiuta a fare delle cose che a casa propria non si farebbero. Per comunicare agli abitanti della zona quest’evento, sono passata non di casa in casa, ma quasi: ho battuto a tappeto alcune delle strade limitrofe a Ferrara Off avvertendo le persone che domenica avrebbe inaugurato questo nuovo spazio, dove potevo direttamente parlandoci altrimenti lasciando l’invito nella buchetta delle lettere. Sono andata nei bar e nei negozi di alimentari e ho raccontato di “Fortuna” mentre facevo la spesa. Questo mi ha dato l’opportunità di instaurare una piccola, pretestuosa relazione, e così sono entrata in città con un approccio che era in realtà un invito. Mi interessava che questa esperienza di ritrovo e incontro comunitario, in cui si propone una possibilità d’ascolto di natura poetica, fosse rivolta a chi abitualmente non frequenta il teatro. A me, a noi, interessa la parte di pubblico, lo spazio umano ‘meno accudito’, che la mia esperienza poetica possa entrare in risonanza con le persone comuni, alle quali normalmente non è dedicato il processo tout court dell’arte.

fortuna cartolina
La locandina di Fortuna

“Fortuna” è un lavoro multiforme, che ha una storia lunga…
Sì, bisogna tornare abbastanza indietro: nel 2004 stavo svolgendo una residenza artistica a Brema in Germania e lì scrissi questo pezzo, che in originale era molto più lungo. Si intitolava “6×6” e trattava del tema dell’infanzia, guardava ai legami famigliari e di civiltà dal punto di vista di qualcuno che sta entrando nell’età della maturità: era una riflessione su come le vite si ereditano e si trasmettono di generazione in generazione. Da allora sono passati più di dieci anni e io sono cambiata, perciò rimettere in ascolto “Fortuna” ha significato anche ricucire quel testo in un’altra tessitura drammaturgica. Nel frattempo, inoltre, “6×6” era stato messo in scena con Stefano Scodanibbio, un grande contrabbassista italiano che ora purtroppo non c’è più. Ho riflettuto molto per capire se avevo voglia di riprendere il testo e quella situazione sonora, fino a quando ho incontrato un altro musicista, all’epoca giovanissimo: Christian Mastroianni. Christian, che quando ho iniziato a lavorare con lui aveva 22 o 23 anni e oggi ne ha 27, ha dalla sua parte la giovinezza anagrafica e inoltre una complessità sonora e una capacità di entrare dentro al testo che ho trovato giuste per rimettere in piedi questo pezzo un’altra volta.

Dove risiede l’attualità di un lavoro come questo, che ha una storia così lunga e che ha cambiato più volte forma?
Paradossalmente sta in quel qualcosa che io continuo a chiamare ‘inattuale’, in quel germe che è capace di rigenerarsi ogni volta, quindi ciò che ciclicamente si rigenera cambiando. Quello che mi attira in “Fortuna” è il ‘continuamente contemporaneo’: mai nuovo, ma mai superato.

L’hai in parte anticipato all’inizio, quindi chiudiamo il cerchio. Ti chiedo: perché “Fortuna” a Ferrara Off?
Anche qui dobbiamo fare un passo indietro: ho incontrato Giulio Costa e Marco Sgarbi di Ferrara Off a Chiaravalle Milanese, un’area appena periferica di Milano dove io svolgo il mio lavoro, circa un anno e mezzo fa proprio dopo una messa in scena all’aperto di “Fortuna”. Ci siamo intercettati subito. Mi hanno spiegato che stava nascendo un luogo, “Ferrara Off”, e proprio queste due cose mi hanno attirato: nascere e luogo, che qualcosa possa nascere e questa cosa che nasce è un luogo. Quindi gli ho proposto di fare questa cosa insieme e loro hanno detto sì.

Isabella Bordoni, inizia il proprio percorso artistico a metà degli anni Ottanta all’interno della scena nord europea delle arti sceniche ed elettroniche occupandosi della scrittura poetica e drammaturgica, portando avanti anche un’esperienza specifica in Italia in seno al teatro di ricerca. Nel 2001 con “Progetto per le Arti” dà vita a una piattaforma di arte e pensiero intorno ai concetti e alle pratiche che chiama di cittadinanza poetica. Dal 2001 affianca all’azione artistica il lavoro curatoriale, organizzando rassegne, festival ed eventi. Collabora con Accademie di Belle Arti e Università in Italia e all’estero. Attualmente è artista e curatrice residente presso ‘Fare’-Frigoriferi Milanesi, residenza di sostegno logistico al suo lavoro nella periferia di Milano, per l’emersione dei potenziali creativi e rigenerativi in contesti di margine. Se però chiedete a lei chi è Isabella Bordoni, risponde semplicemente che “superata la soglia dei cinquant’anni mi interessa sempre meno la presentazione di un prodotto, quanto piuttosto la messa in atto di processi collettivi, che attraverso l’arte e la cultura possano fondare dei valori comuni”.

 

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Federica Pezzoli



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