Coldiretti: posti di lavoro a rischio e perdite di 70 mln di euro in Emilia-Romagna con crollo prezzo grano
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da: Ufficio Stampa Coldiretti
Più trasparenza nella filiera e sull’origine e qualità del grano importato; a rischio nella nostra regione il reddito di migliaia di produttori agricoli e di operatori della filiera, ma la speculazione mette in crisi anche due milioni di ettari in Italia a rischio desertificazione. Aumentati gli arrivi di grano straniero nel 2016, sottopagato il nostro.
I produttori dell’Emilia Romagna hanno perso più di 70 milioni di euro per il crollo dei prezzi del grano diminuiti rispetto allo scorso anno del 43 per cento per il grano duro e del 19 per cento per il tenero, senza che questo abbia portato nessun beneficio per i consumatori. È quanto emerge dall’analisi di Coldiretti Emilia Romagna in occasione della giornata di difesa del grano italiano con decine di migliaia di agricoltori scesi in piazza nelle principali città italiane, da Palermo a Bari, da Alessandria a Termoli e Potenza con lo slogan “no grano, no pane!” e con la presentazione del dossier Coldiretti su “La #guerradelgrano”.
Il settore del grano ha fatto registrare un crollo senza precedenti, riportando i compensi degli agricoltori a livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pasta o pane made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato.
Non a caso nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10 per cento, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat, finalizzati soprattutto ad abbattere il prezzo di mercato nazionale attraverso un eccesso di offerta. Il risultato è che un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero, così come la metà del pane in vendita, ma i consumatori non lo possono sapere. Senza dimenticare che il prodotto estero che sbarca nei porti nazionali, al contrario di quello italiano, ha spesso alle spalle tempi lunghi di trasporto e stoccaggio. Basti pensare – denuncia Coldiretti – al paradosso del grano canadese: nel paese nordamericano la raccolta avviene in settembre e, quindi, quello che arriva in Italia è già vecchio di un anno, mentre quello tricolore è stato appena raccolto. In più, nel caso di importazioni di farine, c’è da considerare che all’estero vengono usati additivi chimici da noi giustamente proibiti, anche perché l’arte dei mugnai italiani è superiore alle alchimie chimiche. Purtroppo – commenta Coldiretti Emilia Romagna – senza l’etichettatura e la tracciabilità del prodotto non è possibile sapere quale grano e quali farine sono state usate.
Oggi in Italia il grano duro per la pasta – continua Coldiretti – viene pagato anche 18 centesimi al chilo mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai 16 centesimi al chilo, su valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia. Da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori dipende la sopravvivenza della filiera più rappresentativa del made in Italy, mentre – denuncia Coldiretti – dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1400%. Le stesse analisi ministeriali – continua Coldiretti – hanno però permesso di smascherare la speculazioni in atto sul prezzo dei grano che colpisce soprattutto i coltivatori italiani con i prezzi che sono praticamente dimezzati rispetto allo scorso anno per il grano duro.
“Per restituire un futuro al grano italiano occorre l’indicazione in etichetta dell’origine del grano utilizzato nella pasta e nei derivati/trasformati – ha detto il presidente di Coldiretti Emilia Romagna, Mauro Tonello – ma anche l’indicazione della data di raccolta (anno di produzione) del grano, assieme con il divieto di utilizzare grano extra comunitario oltre i 18 mesi dalla data di raccolta. Ma serve anche fermare le importazioni selvagge a dazio zero che usano l’agricoltura come mezzo di scambio nei negoziati internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale”.
L’Italia – ricorda Coldiretti – è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta, che assume un’importanza rilevante data l’elevata superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari per oltre 4,8 milioni di tonnellate di produzione che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano il 42% della produzione nazionale. Più limitata – conclude la Coldiretti – è la produzione del grano tenero che si attesta su 3,2 milioni di tonnellate su 0,6 milioni di ettari. In Emilia Romagna 30 mila aziende agricole producono 357 mila tonnellate di grano duro e 782 mila tonnellate di grano tenero su una superficie di quasi 200 mila ettari.
COLDIRETTI BASTA BUGIE AIDEPI, ECCO MARCHI CON 100% ITALIANO
La qualità del grano italiano non puo’ essere certo messa in discussione ed è confermata dalla nascita e dalla rapida proliferazione di marchi che garantiscono l’origine nazionale del grano impiegato al 100%, da Ghigi a Valle del grano, da JollySgambaro a Granoro, da Armando a “Voiello”, che fa capo al Gruppo Barilla, che ora vende solo pasta fatta da grano italiano al 100% di varietà “aureo” senza dimenticare alcune linee della grande distribuzione come Coop e Iper. E’ quanto afferma la Coldiretti nel replicare alle strumentali bugie dell’Aidepi che continua in una campagna diffamatoria che rischia di danneggiare anche i propri associati e favorisce le speculazioni che stanno distruggendo l’agricoltura italiana con prezzi dimezzati per il grano nazionale. A decidere la qualitàdella pasta e del pane possono essere solo i consumatori e se Aidepi è cosiconvinta del fatto che il grano italiano non è buono sostenga con la Coldiretti l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza del grano impiegato in pasta e pane: saranno i consumatori – conclude la Coldiretti – a decidere se comprare pane e pasta con grano siciliano, pugliese, lucano e di alte regioni o se preferire quello che viene dal Canada o dall’Ucraina che ha piu’ che triplicato le proprie esportazioni in Italia.
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