Mi piaceva stare con lui a guardare le stelle. La sua andatura era perfetta per me. Mi piaceva la curva della sua schiena quando si accovacciava per prendersi cura delle piante, così come il tono pacato con cui parlava, la voce un po’ roca e persino il suo modo di guidare quando veniva a prendermi. In quel periodo lo avrei potuto osservare per or senza stancarmi, mi ritrovavo sempre accanto a lui. In fondo è così quando si è in altari, no? Banana Yoshimoto, Il giardino segreto.
Quando una storia d’amore arriva al capolinea, lo si percepisce in un attimo che diventa eterno, in un momento secco e tranciante si tocca l’incertezza di non avere più punti fermi. Ciò che è destinato a fallire prima o poi finirà, anche se si finge di non capire. E allora o si è comunque felici di avere avuto accanto una persona meravigliosa che rimarrà sempre una gemma scintillante della propria vita o non si riesce a farsene una ragione. E tutto crolla. Inutile dire che la prima soluzione, quella più difficile, e’ prerogativa di pochi forti, di chi saldamente si mantiene sopra le proprie gambe magari smagrite e tremolanti ma sempre ferme. E mentre la giovane Shizukuishi, dopo essersi trasferita da Kaede e Kataoka, che le ridanno il calore familiare dimenticato dopo la separazione dalla nonna e dalle sue montagne, cerca casa con il suo Shin’chiro, tutto finisce. Perché destinato a finire. E’ la fine di dolcezze e malinconie di un Giappone avvolgente, quello de “Il giardino segreto” di Banana Yoshimoto, terzo romanzo appena uscito della quadrilogia “Il Regno” (i due precedenti sono “Andromeda Heights” e “Il dolore, le ombre, la magia”) che si legge anche da solo. Sullo sfondo un misterioso serpente di giada, un ricordo dell’amore della nonna. Il tutto avvolto dal giardino d’infanzia dell’amico di Shin’chiro, il dolce e attento Takahashi scomparso prematuramente per problemi di cuore e per una malattia alle gambe che lo aveva costretto sulla sedia a rotelle fin da bambino. Quel giardino miracoloso e spettacolare avrebbe accompagnato sempre, come un’ombra imponente, la vita di Shin’chiro, insieme alla madre dell’amico. Una presenza del passato che rafforza il senso di precarietà della storia d’amore fra i due giovani. Questo giardino e’ però il centro di tutto il romanzo, la sua bellezza e la sua energia, il suo vero significato. Nonostante la disabilità Takahashi lo aveva sempre seguito e curato con immensa passione e amore, un luogo che pare svelare la risposta a molte domande di Shizukuishi. Forse bisogna accontentarsi della natura, forse ci ostiniamo a riprodurla perché la si ritiene un frammento della già meravigliosa opera degli dei. Il mondo di quel giovane e abile giardiniere era fatato, il paradiso racchiuso nel cuore di ogni essere umano, l’espressione visibile dei suoi sogni, desideri, della sua esistenza. Un grido “voglio vivere”, solo questo. Cercava di dire che anche solo per un giorno ancora voleva avere la possibilità di guardare quel mondo meraviglioso. “L’animo umano non conosce limiti, e a ogni soffio di vento, a ogni cambiamento della luce, il mondo ci mostra un volto diverso, e sarà così in eterno, perché non può avere fine”, questo voleva trasmettere quel dolce ragazzino. Forme sinuose e magiche di rami, verde accecante, erbe senza nomi, prato lucente e folto, tutto lì pronto a dare un effetto di dolce voluttà. Anche i suoni vengono risucchiati da quell’energia naturale. Qui si percepisce la grandezza di Takahashi che, raggiunto un punto troppo elevato di bellezza, forse non poteva resistere ancora a lungo alla sporcizia del mondo. E una preghiera sale verso quella sua energia che doveva e deve essere da qualche parte su nel cielo. A occhi chiusi. Al ritmo del soffio del vento e del gorgoglio dell’acqua che sorridono ma non rispondono.
Banana Yoshimoto, Il giardino segreto, Feltrinelli, 2016, 138 p.
Sostieni periscopio!
Simonetta Sandri
I commenti sono chiusi.
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it