da: Patrizio Fergnani
Nel messaggio per l’8 marzo di Annalisa Felletti (assessora pro tempore alle pari opportunità del Comune di Ferrara) avevo trovato un infelice (a mio avviso) riferimento all’obiezione di coscienza.
Ero in dubbio se dire qualcosa: in fondo l’indifferenza con cui quel passaggio è stato accolto poteva essere sufficiente a relegarlo nei “non pervenuti”.
Mi dispiaceva la strumentalizzazione negativa dell’obiezione di coscienza, ancora di più mi sentivo colpito personalmente rivivendo la tensione del vero e proprio processo a cui ero stato sottoposto dai carabinieri incaricati di indagare la profondità delle mie convinzioni. A pensarci bene la “patente” di obiettore di coscienza è uno dei titoli che mi sono conquistato sul campo, uno dei pochi che non scade: ha a che fare, appunto, con la coscienza e non cambia col tempo o con i ruoli.
Non ho alcun incarico politico (e nemmeno tessere di partito in tasca) e la stagione in cui ricoprivo cariche sindacali si è chiusa già da 10 anni: un mio intervento non può essere che personale (e quindi poco interessante).
Semplicemente, perciò, mi sono imposto una giornata di digiuno nel silenzio delle mie domeniche da “badante”. Un digiuno con una molto flebile analogia con quello di Gandhi nel 1914: lui digiunò 7 giorni per espiare la colpa di un’allieva di cui era educatore, io uno solo per un’amministratrice della mia città. Per me la questione poteva finire lì.
Purtroppo, come temevo, l’uscita della Felletti non era un elemento isolato ma il segnale di un pensiero che è ben presente in alcuni elementi che governano la nostra città e da cui nessuno finora ha preso le distanze.
Per questo mi sento ora in dovere di intervenire proprio in quanto persona toccata da questo attacco non più isolato all’obiezione di coscienza.
La frase della Felletti è questa:
“Tanti, troppi i capitoli aperti senza un lieto fine, dalla violenza di genere al mancato rispetto delle leggi sull’interruzione di gravidanza e all’obiezione di coscienza; dalla disoccupazione al lavoro precario che di fatto rendono impossibile la maternità”
E’ possibile nel 2016 citare l’obiezione di coscienza come un capitolo aperto senza lieto fine? Definirlo un problema che impedisce un corretto sviluppo sociale, metterlo sullo stesso piano della violenza di genere, della disoccupazione, del lavoro precario o, addirittura, un elemento che rende impossibile la maternità?
Solo i regimi totalitari hanno paura della coscienza delle persone.
Esiste un coscienza buona che obietta contro quello che non piace al pensiero dominante ed una coscienza “cattiva” che esprime un pensiero critico?
La “non omologazione” non è forse il valore di fondo dell’obiezione di coscienza?
La morale va a scatti e cambia a seconda dell’oggetto che riguarda?
Avrei voluto leggere qualcosa anche da parte del Movimento Nonviolento di Ferrara per capire se condivide questa visione dell’obiezione di coscienza o non pensa che la coscienza vada sempre e comunque rispettata.
In quanto obiettore di coscienza mi sento discriminato dall’assessora che dovrebbe tutelarmi e che ai percorsi contro la discriminazione ha dedicato un’enfasi non secondaria.
Nella mia personale storia di obiettore di coscienza ho imparato che quando cominci non ti fermi più: contro il servizio militare, contro l’uso delle armi, contro le spese militari fino alle scelte quotidiane nell’educazione dei figli naturali, in affido o in affiancamento.
In questa sequenza sono sicuro che se fossi medico obietterei contro l’aborto, se fossi farmacista farei altrettanto, se fossi un insegnante chiamato ad andare contro la mia coscienza farei lo stesso.
So per certo che ogni volta che la coscienza si accende e ti chiede di andare contro la legge o il pensiero dominante è un’espressione di libertà che chi comanda non capisce.
Una libertà che si paga, come l’ha pagata Maurizio Saggioro, che ho conosciuto personalmente, rifiutandosi di produrre componenti legati all’industria bellica.
Quelli che scrivevano le cose che scrive la Felletti erano gli intolleranti di destra, stavano dalla stessa parte dei cappellani militari che risposero a Don Milani o, semplicemente, dalla parte di chi non accetta che la coscienza viene prima di ogni legge.
Probabilmente la Felletti è la degna erede dei compagni della FGCI che negli anni della mia obiezione di coscienza al servizio militare mi criticavano perché l’esercito era un’occasione di sviluppo per il “popolo” e in quanto tale andava sostenuto.
Anche oggi non è raro che la militanza politico-ideologica impedisca di accogliere la carica di libertà di pensiero che è insita nell’obiezione di coscienza.
Sento il dovere morale (potrei dire “di coscienza”) di divulgare questi appunti che avrei tenuto per me se non avessi letto dell’interpellanza di Ilaria Baraldi sui possibili farmacisti obiettori.
L’attacco alla libertà di coscienza assume nuovi connotati: oltre alla Felletti anche la Baraldi la pensa come il proconsole Dione che ha fatto giustiziare Massimiliano di Tebessa, primo obiettore che non rispettava la legge.
Parte la caccia al farmacista obiettore: spero venga trovato e punito sulla pubblica piazza rendendo evidente chi crede nella libertà e chi ha paura della coscienza delle persone.
Poi aspetteremo la prossima categoria di obiettori da perseguitare, in ossequio all’intollerante pensiero liberticida che ci circonda con la finta espressione di chi tenta di accreditarsi come difensore dei diritti.
Patrizio Fergnani (obiettore di coscienza)
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