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‘La mia minigonna non è un invito, una provocazione, un’indicazione che lo voglio, che la do o che abbocco’. Mentre sentivo alla tv le disposizioni di un municipio alle porte di Amsterdam contro le gonne corte e gli stivali al ginocchio delle dipendenti, l’attacco di quel monologo (I monologhi della vagina di Eve Ensler, ndr) che avevo provato e recitato centinaia di volte, mi rimbalzava nella mente. Avevamo deciso che in scena dovessi indossare una minigonna, rossa per di più, perché l’effetto fosse maggiore. Ma non era l’abito, erano le parole di quel testo, che ormai mi sembravano naturali e acclarate, a essere vincenti. Erano parole libere e convinte contro la mortificazione e contro le pretese di scegliere al posto mio di donna. Erano, e sono, un’affermazione che la gonna che indosso non ti dà motivo per giudicarmi e buttarmi addosso la colpa di una provocazione che non ho mai cercato. Parole che, nell’impianto dei Monologhi, si aggiungevano alle tante rivendicazioni che alle donne è toccato fare negli anni.
E oggi siamo tornati indietro, non so di quanti anni, troppi. Se quel monologo torna a essere un manifesto, vuol dire che non stiamo andando avanti, vuol dire che si è cristallizzata la disapprovazione per una coscia un po’ scoperta. Preferirei che il monologo ci ricordasse le fatiche e le conquiste di chi si è difesa prima di noi, piuttosto che che diventasse una nuova battaglia da combattere perché non sarebbe nemmeno più la stessa.
Sconsigliare, come sta succedendo in quel municipio olandese, la minigonna per non urtare la sensibilità di chi è abituato a vedere le donne velate e insacchettate, non lo considero un gesto di sensibilità e tolleranza. Tolleranza, che è sinonimo di rispetto, funziona se è a due vie, cioè se non si stende supina di fronte all’intolleranza, perché a me questo sembra stia accadendo.
Ricordo una foto in bianco e nero di mia madre nei primi anni settanta, indossava una mini e un giorno, quando avevo 15 anni, mi disse: ‘sai a quei tempi…’, ma io non capii perché la minigonna la portavo (e la porto) senza immaginare che, un tempo, fosse stata sconveniente a livello sociale.
Mia nonna un po’ mi rimproverava quelle mie gonne corte e tentava di tirarmele per vedere se c’era modo di allungarle di qualche centimetro, ma poi alzava le spalle e si rassegnava ai nuovi tempi e io credo lo facesse più per tradizione che per convinzione.
Voglio oggi pensare che nessuno mi consigli cosa indossare e, soprattutto, non voglio pensare di dovere dire, un domani, a mia figlia ‘sai a quei tempi…’

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it