Ma la manovra della Bce non porta benefici reali ai cittadini
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A qualcuno sarà venuto in mente di chiedersi se questa nuova ‘arma’ di Draghi, l’estensione del quantitative easing, porterà benefici all’economia reale, cioè se le nostre tasche e la nostra vita quotidiana ne trarranno un vantaggio. Certo di fronte ad argomenti così complessi la reazione più comune è fidarsi di quanto gli esperti dicono e fanno. Draghi, Padoan e Renzi ci piaceranno magari poco, ma di politica economica ne sapranno di sicuro più di noi. Però, piano piano, vogliamo provare lo stesso a fare due conti.
Con la nuova operazione di quantitative easing annunciato pochi giorni fa la Bce emetterà fino a 1.750 miliardi di euro; per l’Italia vuol dire acquisti di titoli di Stato da parte della BdI per 80 miliardi al mese, un aumento di 10 miliardi rispetto ai primi due quantitative easing. Questi, sommati ai prestiti alle banche attraverso le aste di Tltro (Targeted Longer Term Refinancing Operations), porteranno le erogazioni totali della Bce a quota 2.200 miliardi di euro.
Cifre di questo genere dovrebbero inondare di liquidità il sistema economico dell’eurozona, ma qualcuno se ne è accorto? Il fatto che l’inflazione sia ancora prossima allo zero e che anzi si continui a parlare di deflazione dovrebbe far pensare che qualcosa non stia funzionando, perché anche se una parte di questi soldi ancora non sono stati erogati queste operazioni sono iniziate dal 2011.
Insomma, verrebbe da pensare che le pure operazioni finanziarie non stabilizzino il sistema e che forse sia venuta l’ora che siano i governi a muoversi, magari abbassando le tasse e procedendo attraverso politiche espansive di spesa pubblica. Vita reale, suvvia. Anche politiche monetarie che andassero nella giusta direzione potrebbero servire: per esempio, considerando solo i 10 miliardi in più del quantitative easing numero 3, ipotizzando di accreditarli direttamente nei conti correnti dei cittadini italiani avremmo circa 150 euro al mese ognuno e, per una famiglia tipo di 4 persone, ben 600 euro di maggiori entrate. Soldi che si trasformerebbero immediatamente, visti i tempi, in maggiore spesa e quindi in un aumento del Pil nazionale con miglioramenti reali per tutti.
Certo qualcuno potrebbe puntualizzare che anche quando la Banca d’Italia compra semplicemente titoli e li detiene deve corrispondere allo Stato delle tasse sugli utili, ovvero sugli interessi. Su 30 miliardi di btp detenuti nel 2013, considerando un’aliquota Ires del 27,5% e il 5,5% di Irap, ha portato un introito di circa 700 milioni nelle casse dello Stato. Ben poca cosa, e magari poi destinati come gocce nel mare degli interessi sul debito pubblico da ripagare, ritornando così da dove sono venuti: da quel circolo vizioso Bce, banche private, finanza. Dare invece diretto sostegno all’economia reale bypassando le alchimie finanziarie porterebbe vantaggi molto più consistenti e immediati.
La Bce prevede anche l’acquisto di obbligazioni di aziende, ovviamente di quelle che stanno meglio, come Fiat o Telecom, che hanno rating alti. La Bce agisce cioè come un’azienda che presta a chi sta meglio, l’opposto di quanto dovrebbe fare una banca centrale.
Una banca centrale che voglia realmente aumentare la liquidità degli Stati, migliorare e aumentare gli scambi all’interno di una economia che arranca, dovrebbe rivolgersi ad aziende e cittadini in difficoltà, quindi comprare per esempio obbligazioni dalle aziende prossime alla chiusura, permettendo così la continuazione della loro attività, di non licenziare e rimanere sul mercato. Lo stesso per le famiglie che, vedendosi accreditata una cifra sui loro conti correnti, stimoleranno l’economia reale con la loro aumentata capacità di spesa. Insomma si parla di mantenere o aumentare la capacità di spesa delle persone e delle aziende, in termini macroeconomici di aumentare la domanda aggregata, l’unico modo di fare la differenza (per le persone però, non per la finanza).
Perché tutto questo sia accettabile e possibile però è necessario uscire dalle logiche dell’attuale sistema economico e avere la capacità di immaginare che il mondo possa funzionare in maniera diversa, più equilibrata e più propensa ai bisogni del 99% della popolazione. Soprattutto, accettare che il benessere della finanza e delle banche non corrisponda quasi mai al benessere dei popoli.
Nel momento in cui si vive con l’idea che l’unico modo possibile di stimolare la crescita sia erogare montagne di moneta che devono passare per l’oligopolio delle banche, che lo Stato si debba finanziare esclusivamente attraverso le concessioni della Bce e l’emissione di titoli di Stato venduti al mercato (cioè alle 18 banche che possono comprare titoli sul mercato primario), tutto quanto detto risulta comprensibilmente fantasioso e irrealizzabile. In effetti la nostra mente rifiuta tutto ciò che appare troppo semplice e così continuiamo ad affidarci a chi è tanto bravo da farci sembrare le cose complicate e materia per pochi esperti. Teniamoci quindi deflazione, disoccupazione, privatizzazioni e disperazione, facendo finta che le cose stiano migliorando.
E per chiudere: qual è la logica per cui una banca centrale deve far finta di dover operare come se fosse una normale azienda dando soldi a chi ha alti rating? Perché una banca centrale dovrebbe rientrare della moneta che ha emesso? Probabilmente perché, per usare una frase che piaceva al compianto professor Ioppolo: “non bisogna far sapere al contadino quanto è buono il formaggio con le pere”. Cosa succederebbe se i cittadini capissero finalmente che gli si fa pagare così cara l’operazione di schiacciare un pulsante?
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Claudio Pisapia
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