di Federico Di Bisceglie
Il 2 novembre 1975, all’idroscalo di Ostia, veniva trovato il corpo straziato e senza vita di uno dei più controversi, discussi, criticati e amati, autori del Novecento italiano: Pier Paolo Pasolini.
A quarant’anni di distanza Bologna, la città che gli diede i natali il 5 marzo 1922, ospita presso il MamBo, il museo d’arte moderna, una mostra in onore del “poeta” per usare una definizione di moraviana memoria, sebbene per Pasolini le definizioni si potrebbero sprecare. “Officina Pasolini”, promossa dalla Fondazione Cineteca di Bologna, in collaborazione con l’Istituzione Bologna Musei e l’Università di Bologna – Scuola di Lettere e Beni culturali, è ormai al suo ultimo mese di apertura: chiuderà, infatti, il 28 marzo 2016.
Quello nelle sale del MamBo vuole essere un percorso tematico per trasportare il visitatore nell’intricato mondo di Pasolini, tra idee, appunti, frammenti di cinematografia, racconti della vita quotidiana. Il metodo usato è lo stesso del protagonista: una sequenza di scene per narrare l’universo poetico, estetico e culturale di questo artista e intellettuale precorritore dei suoi tempi: dalla formazione bolognese all’ultimo film uscito postumo, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, e al romanzo incompiuto “Petrolio”; dalla profonda critica alla classe borghese e dalle categorie politiche riscontrabili ne “Gli scritti corsari” alla dura realtà delle borgate di Roma, che l’autore magistralmente descrive nella sua opera del 1955 “Ragazzi di Vita”. Il poeta, il romanziere, il regista, il grecista, il drammaturgo, insomma: Pier Paolo Pasolini. È stato senza dubbio una figura che ha radicalmente cambiato la storia del nostro Paese, attraverso soprattutto narrazioni di realtà che in quegli anni si tendeva a nascondere, per preservare una sorta di falso perbenismo borghese che caratterizzava ampiamente la civiltà di quegli anni.
Anche il nome scelto per l’iniziativa non è assolutamente casuale, infatti richiama un altro interessante aspetto dell’opera pasoliniana, il giornalismo, che ha un forte legame proprio con la città felsinea. Pasolini, infatti, insieme a Roversi e Leonetti, fondò negli anni Cinquanta una rivista denominata “Officina”, termine impiegato nel 1934 per la descrizione della pittura ferrarese dallo storico dell’arte forse più famoso in Italia allora: Roberto Longhi, che è stato suo docente di estetica delle arti figurative a Bologna.
La mostra costituisce un unicum, sia per quanto riguarda la scelta di ciò che è esposto, sia per quanto riguarda la possibilità che offre di una maggiore conoscenza dell’inesauribile produzione artistica di un autore troppo spesso dimenticato e sottovalutato.
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Redazione di Periscopio
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