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di Giorgio Bottoni

Egregio direttore,
mentre riconosco la correttezza usata nei miei confronti nel chiedermi il consenso alla pubblicazione della lettera che ho inviato il 14 ottobre 2013 all’Unità e dalla stessa non pubblicata, il preambolo con il quale la mia lettera viene preceduta contiene un passaggio non proprio fedele che potrebbe portare ad una lettura non corrispondente al mio agire nei confronti del partito. Tale passaggio consiste, parlando del mio comportamento “che lo avevano indotto a lasciare i Democratici di Sinistra”. Le cose non sono andate in questo modo. Ero stato relatore, alla Direzione provinciale dei DS il 4 febbraio della proposta di costituzione della fondazione, indicandone anche la sua attuale denominazione, appunto “L’Approdo”. Se lo potessi fare ora lo integrerei con TEMPORANEO, ma quando mi resi conto che questo doveva avvenire su uno statuto standard, così voluto dal Nazionale del partito e che gli amministratori dovevano essere nominati a vita, mi rendevo conto della potenziale espropriazione delle proprietà immobiliari che dal partito andavano ad assumere una configurazione privatistica. Ho messo per iscritto a chi di competenza la mia contrarietà, ed ho chiesto ai primi del mese di aprile del 2007 a chi dare le consegne del lavoro svolto e che mi apprestavo ad interrompere, non avendone risposta, alla fine del mese ho cessato un rapporto di attività continuativa prestata per tanti anni presso la federazione provinciale. Non ho partecipato alla riunione del 4 maggio 2007 dell’organismo dirigente e di controllo, per la decisione sospesa a febbraio, per non essere coinvolto in quella scelta che proprio non condividevo e chi presiedeva tale riunione era in possesso della lettera poc’anzi citata contenente il mio disaccordo.
No, non ho lasciato i Democratici di Sinistra, ma rinunciando all’incarico di responsabile del patrimonio immobiliare, non potevo più, come avrei potuto e voluto fare, partecipare alle apposite riunioni che la federazione doveva promuovere, ne andare nelle località che me l’hanno chiesto e dire come la pensavo a proposito della scelta della fondazione. Tra questi compagni ero molto benvoluto perché per tanti anni, mi avevano trovato sempre disponibile e impegnato con serietà nella soluzioni dei tanti problemi che si prospettavano e l’ho fatto sempre in prima persona. Quando la scelta che a norma di regolamento (un regolamento che ci eravamo dati col passaggio della titolarità degli immobili alla federazione del partito. Questo richiedeva il parere espresso in forma scritta, di quella determinata organizzazione, quando la misura riguardava l’immobile di quella determinata località). Quindi, quando la decisione doveva essere presa nella organizzazione di mia appartenenza, la sezione Putinati e l’Unione Circoscrizionale di via Bologna, ho dato battaglia. Non sto a descrivere le numerose riunioni che si sono rese necessarie. Incontri coi vertici in federazione. Per ragioni di brevità non sto a descriverli, ma conservo una copiosa documentazione. Puntavo alla prescrizione dei termini che il partito fondatore dettava alla fondazione. Una sorta di “patto parasociale” che le articolazioni territoriali parietarie sostanziali degli immobili e la federazione che ne deteneva la formale proprietà prescrivevano nell’atto costitutivo che peraltro, lo si è saputo dopo, era già stato compiuto. Stavamo discutendo ad agosto e settembre e dagli atti notarili la fondazione risultata già istituita a luglio. Né è sortito, come conclusione,una lettera del segretario della federazione abbastanza blanda.
La soluzione non fu per niente soddisfacente e mi ha portato per non rovinarmi ulteriormente la salute ad evitare di partecipare alla parte che ha sottratto tutte le disponibilità finanziarie delle organizzazioni territoriali, versate al tesoriere della federazione, perché col cambio dei denominazione, vuoi cessate e se mantenete qualcosa diventa sottrazione. Una operazione del genere non l’avrei fatta neanche sotto tortura. Era tanto sbagliato andare a pretendere da organizzazioni statutariamente autonome che avevano già versato i loro contributi, dato alla federazione la quota fissata negli obbiettivi annuali, il frutto del loro lavoro, delle loro iniziative, dei risparmi realizzati con tanto attaccamento e passione. Altra cosa sarebbe sta presentarsi con umiltà e dichiarare uno stato di necessità e cercare motivato aiuto, per non lasciare in sospeso delle pendenze. Misi in una lettera tutta la mia contrarietà, portata alla segretaria provinciale del PD, da poco nominata, dopo avergli consigliato in una affollata assemblea di fermare quella sciagurata operazione. Per la gestione del fondo ho saputo che è stato costituito un comitato di tesoreria, uno strumento previsto dallo statuto e che prima non si era mai voluto. Quindi, in buona sostanza, costituivamo una nuova forza politica, il partito democratico, in questo riponevamo le tutte le nostre speranze. ma Il nuovo ha dovuto nascere dal niente e doveva per mettersi all’opera, indebitarsi col vecchio. Chi aveva versato tutte le sue disponibilità, da ora in poi per promuovere qualsiasi iniziativa che comportasse una spesa doveva richiedere un prestito al vecchio. Diveniva un incredibile e inaudito potenziale condizionamento.
Nelle organizzazioni della provincia di Ferrara la discussione deve essere stata abbastanza intensa e tuttavia si è svolta nella riservatezza. L’unica notizia che ho trovato sulla stampa locale l’ho letta sul Resto del Carlino- Ferrara, nella pagina di cronaca Argenta Porto Maggiore il 7 dicembre 2007, in poche righe dal titolo, ANITA “Patrimonio ex DS passa di mano”. Il testo integrale: “Passa di mano il patrimonio degli ex Democratici di sinistra relativo al parco delle feste 7 Aprile di Anita. Infatti, terreno, immobili ed attrezzature sono confluiti nella Fondazione che fa capo al nuovo Partito Democratico. Una soluzione questa, già adottata da altre realtà e conseguente ai nuovi assetti politici. Ad Anita, il trasferimento è avvenuto al termine di una accesa assemblea cittadina, che ha avuto non pochi strascichi polemici.” Qualora fosse stato proprio così ma, o ha capito male il giornalista o l’illustrazione non è stata per niente veritiera.
La sto facendo troppo lunga e quindi concludo con una precisa esortazione: una sorta di testamento: gli immobili che ora sono confluiti nella fondazione denominata “L’approdo” per ragioni di buona politica, moralità, coerenza con gli impegni assunti devono restare nella piena e totale disponibilità delle organizzazioni territoriali del Partito Democratico, e per essere ancora più preciso, di Anita, Porto Maggiore, S.M. Codifiume, Poggiorenatico, Bondeno, Via Bologna, Via Ortigara, Quacchio, ecc. fino a completare l’elenco. Buon lavoro.

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