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Nuove tecnologie a costi accessibili per monitorare la nostra salute. Si tratta di strumenti che rilevano diversi indicatori biochimici e li comunicano in tempo reale. Questo estremo controllo sulla salute farà la felicità di un gran numero di ipocondriaci e, ovviamente, dell’enorme giro di business che ruota attorno alle nuove app per la salute? O, al contrario sarà un servizio per le persone e un contributo alla individuazione di più efficienti metodi di cura? Come sempre, entrambe le risposte colgono una parte di verità.
I modelli di telemedicina – e le relative soluzioni – nascono dall’esigenza di risparmiare, sopperire alla carenza di personale medico, fornire teleassistenza, monitorare i pazienti dimessi o cronici che, comunicando i valori biomedici, ricevono indicazioni e consigli su alimentazione e dosaggi dei farmaci. Certo rappresentano vantaggi perché offrono sicurezza ai pazienti (pensiamo a cardiopatici e diabetici), facendo risparmiare fatica, tempo e denaro pubblico.
La ricerca ha dato vita, accanto al mercato dell’e-health, ad un nuovo enorme mercato: quello delle app per il fai-da-te della salute. I dispositivi che non hanno bisogno di un professionista per essere applicati e per l’interpretazione dei dati sono già molti. Alcuni esempi: un holter Ecg wireless che viene collegato al petto e indossato sotto i vestiti e avvisa l’utente di eventuali aritmie; sensori che rilevano i livelli di glucosio, li convertono in curva e consentono di monitorare l’andamento glicemico, un cerchietto indossabile che legge le onde cerebrali per controllare stanchezza e concentrazione, visualizza le onde sullo smartphone e suggerisce esercizi; un gilet che misura la pressione arteriosa, comunica via bluetooth con lo smartphone a cui trasferisce i dati; un bracciale che misura il battito cardiaco e il livello di ossigeno nel sangue per monitorare lo stato di affaticamento, un sensore collegato allo smartphone che promette di migliorare la postura avvertendo il soggetto dell’errore attraverso una vibrazione; non poteva mancare una bilancia che misura la distribuzione della massa corporea e offre indicazione su esercizi e dieta. Il global mobile healthcare market ha raggiunto i 6,6 milioni di dollari nel 2013 e toccherà i 20,7 milioni nel 2018 (Dati Markets and Markets – Dallas).
L’autodiagnosi consentirà di esprimere in tempo reale quantità di informazioni sulla nostra salute senza precedenti. Un’opportunità di ricerca epidemiologica straordinaria a basso costo, con la raccolta automatica da parte dei pazienti di una mole di dati utili al monitoraggio di patologie croniche. Vi è però una linea di confine sottile tra strumenti di controllo e autodiagnosi che può creare confusione e proporre rischi: in alcune app basta inserire sintomi per ricevere indicazioni di diagnosi e terapie.
Alcune prime considerazioni su un fenomeno in rapida crescita. Il confine tra servizi sanitari e gestione autonoma della salute è sottile, i rischi del fai da te e dell’autodiagnosi sono evidenti. Vi è il rischio di perdere una visione d’insieme del quadro clinico e, soprattutto, di annullare la relazione con il medico che è indispensabile strumento diagnostico, ma anche complemento della terapia, come dimostrano gli studi di neuroscienza sull’importanza del rapporto fiduciario medico paziente per la cura.
Non da ultimo, si crea un confine labile tra indicazioni di salute e di performance nel campo del wellness. Questo mi pare l’aspetto più preoccupante a livello di massa. Il rischio è di patologizzare i comportamenti (a partire da quelli alimentari, considerando l’alimentazione un insieme di ingredienti e di nutrienti) di medicalizzare la vita (inducendo un’ossessione per il controllo di parametri dentro cui portare colesterolo, pressione, affaticamento e indice di massa corporea), di diffondere “tecnologie persuasive” che valutino, al nostro posto, cosa ci fa stare bene.

Maura Franchi è laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@unipr.it

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.


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