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di Giuliano Sansonetti

“Sogni ad occhi aperti, la speranza tra filosofia, letteratura, musica e arte” è il titolo stimolante di un’originale iniziativa in programma questa sera (venerdì 13 dicembre) alle 20.30 nella sala San Francesco di via Savonarola 3. Gli organizzatori (Progetto Ernst Bloch e Dialogo in collaborazione con l’Università degli studi di Ferrara) annunciano “una serata inedita”.
Ospite d’onore sarà il poeta e scrittore ferrarese Roberto Pazzi, che darà voce alle pagine di Ernst Bloch. Tommaso La Rocca condurrà il pubblico verso “un Buon-Luogo dove scrivere libri” e Nicola Alessandrini “parlerà di utopie, un vecchio artigianato a rischio di estinzione”. La serata terminerà con un concerto della band Dia-Logo, diretta dal maestro Sergio Ross Rossoni che percorrerà le note della speranza in un itinerario musicale italiano e internazionale rivisitato in chiave jazz.
Mentre l’installazione artistica di Cinzia Carantoni avrà idealmente la stessa materia dei sogni.
Al professor Giuliano Sansonetti, docente di Filosofia del nostro ateneo e presentatore d’eccezione dell’evento, abbiamo chiesto una riflessione in anteprima.

Per chi come me si è affacciato alla filosofia nella prima metà degli anni Sessanta e ha avuto dei maestri che lo stavano introducendo in Italia, Ernest Bloch, filosofo tedesco nato nel 1885 e morto nel 1977, è in certo senso una figura mitica, quasi monumentale, come in qualche modo lo era nell’aspetto fisico, imponente e dal viso come scolpito nella pietra. Così mi è rimasto impresso per averlo potuto vedere e ascoltare in un memorabile convegno sul pensiero di Hegel, tenutosi a Urbino nel settembre 1965, che vide la partecipazione della migliore filosofia europea e internazionale. Ma tra i grandi presenti a quel convegno, lui era il più grande, il filosofo per eccellenza, l’autore di due opere magne, Lo spirito dell’utopia del 1917, Il principio speranza del 1959, quest’ultima immensa anche per la sua mole, entrambe testimonianze dirette della grande cultura europea e tedesca della prima metà del secolo, segnata tuttavia dalla catastrofe. Filosofia, letteratura e arte in tutte le sue forme, tradizionali e d’avanguardia, vi sono strettamente intrecciate, fuse come in un crogiuolo, cosa che fa dell’opera di Bloch un che di unico e difficilmente comparabile. Questo spiega le passioni che ha sollecitato, ma anche i decisi rifiuti anche da chi, in teoria, era dalla sua stessa parte. A Bloch, militante marxista fin dalla prima ora, si deve la famosa distinzione tra la “corrente calda” e la “corrente fredda” del marxismo, ovvero tra un marxismo creativo, utopico, antidogmatico e un marxismo scolastico, falsamento scientifico e dogmatico; inutile dire che Bloch era schierato con la corrente calda, e questo – Stalin imperante – non gli poteva essere perdonato, pure da chi, come il grande filosofo ungherese Gyorgy Lukacs – spirito per molti versi affine – aveva fatto con lui un lungo tratto di strada, per farsi poi autorevole portavoce del marxismo della III Internazionale. Per questo Bloch ha saputo sollecitare e affascinare anche chi non faceva parte di quel mondo, per la sua ricerca inquieta e appassionata, sol che si pensi a quanto il suo Principio speranza abbia segnato profondamente il pensiero cristiano, di cui è rimasta espressione quella Teologia della speranza di Jürgen Moltmann che, nel lontano 1964, fece irruzione come una vera e propria rivoluzione teologica. L’utopia e la speranza, queste le parole che compendiano il cammino di pensiero di Ernest Bloch; utopia come “utopia concreta”, speranza come speranza nell’al di qua, e tuttavia tali da mantenere costantemente il pensiero nell’apertura al novum, al non-ancora. “Come? Io sono. Ma non mi possiedo. Per questo innanzitutto diveniamo”. Questa frase, posta ad epigrafe di uno dei suoi libri più singolari, Tracce, esprime come meglio non si potrebbe il senso della vita come inquietudine e ricerca. Per questo il suo pensiero continua a esercitare una forte suggestione, anche fuori dal contesto in cui è sorto e dai dibattiti che lo hanno caratterizzato.
È bello quindi che studiosi della più giovane generazione, come Nicola Alessandrini, siano impegnati a riscoprire il suo pensiero e a farlo conoscere anche nei modi e nelle forme che sono di questo tempo, cosa che sicuramente Bloch non avrebbe disdegnato.

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Redazione di Periscopio



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