Chi di noi non ha dovuto affrontare, durante gli anni passati sui banchi di scuola, il fatidico capitolo sulle cause della Prima Guerra Mondiale: dall’imperialismo al nazionalismo, dall’emergere della società di massa alla crisi degli imperi centrali, senza dimenticare il casus belli dell’attentato del 28 giugno 1914 all’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico. Dimenticatevi tutto ciò, o meglio, dimenticatevi che sia tutto così semplice e lineare. Questa è la differenza fra la storia che si studia a scuola e quello che si può imparare ascoltando uno storico di fama internazionale come Emilio Gentile, che venerdì pomeriggio nella Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea ha tenuto una sorta di lectio magistralis sul contesto europeo a ridosso della Grande Guerra, su invito di Istituto Gramsci e Istituto di storia contemporanea di Ferrara.
Quasi due ore passate in un soffio, perché ciò che è stato proposto non è una cronologia di eventi inevitabilmente legati da un rapporto di causa-effetto, ma una riflessione su una serie di fattori e considerazioni che hanno creato un quadro d’insieme con alla base l’elemento più complesso che esista: l’essere umano. Come ha affermato Gentile, “a volte la storiografia pecca di questo saccente anacronismo”: leggere la storia come “una concatenazione di fatti inevitabili” operando “una noiosa proiezione del presente sul passato”. In realtà, quindi, “la storia non andrebbe raccontata con le cause”: accanto a queste non bisognerebbe mai dimenticare di “raccontare gli uomini”. Perché, conclude Gentile, “la bellezza tragica della storia è che la fanno gli uomini e non le cause”. Del resto lo scriveva già Marc Bloch nel suo Apologia della storia o Mestiere dello storico: “L’oggetto della storia è, per natura, l’uomo. O meglio, gli uomini. Più che il singolare, favorevole all’astrazione, il plurale che è il modo grammaticale della relatività, conviene a una scienza del diverso”.
Ecco allora, ha spiegato Gentile, che l’Europa “centro del mondo” dal punto di vista economico e culturale, che celebra se stessa e la propria civilizzazione nella Grande Esposizione Universale di Parigi del 1900 con un padiglione appositamente dedicato all’energia elettrica simbolo della luce del progresso, e che sta vivendo “il più lungo periodo di pace” della sua storia recente, porta nel suo grembo “un’oscura coscienza”, che inizia a parlare di razze superiori e razze inferiori o che pensa alla guerra come sola igiene del mondo.
Ecco come in un’Europa che, secondo Winston Churchill allora Ministro della Marina di Sua Maestà, mai era stata “più tranquilla”, governata nel 1914 “da maggioranze parlamentari che non volevano la guerra”, scoppia una guerra che sembra “non voluta da nessuno”, ma per la quale i giovani fanno la fila per arruolarsi volontari. Ecco come nell’Europa delle “teste coronate” lo zar Nicola II e il re d’Inghilterra Giorgio V dichiarano guerra al kaiser Guglielmo II, nonostante siano tutti nipoti della regina Vittoria. Ecco perché Francesco Ferdinando e la moglie sono a Sarajevo il 28 giugno: colgono l’occasione della sua visita come ispettore generale delle forze armate dell’Austria-Ungheria per passare insieme il loro anniversario di matrimonio, cosa che il rigido cerimoniale austriaco non avrebbe mai permesso, essendo lei una semplice contessa e il loro un matrimonio morganatico.
Purtroppo il 28 giugno è anche l’anniversario di una storica battaglia della Serbia contro l’Impero Ottomano, e Gavrilo Princip e i suoi compagni attentatori interpretano la visita dell’erede al trono asburgico come un clamoroso affronto alle tradizioni nazionali della grande Serbia. Da quei due colpi di pistola scaturiranno 53 mesi di guerra nell’inferno delle trincee, 10 milioni di morti e lo stravolgimento della geografia europea.
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Federica Pezzoli
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