Genio italiano, maestria fiamminga: gli arazzi di Raffaello in mostra alla Venaria Reale
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Raggiungere la Reggia di Venaria Reale alle porte di Torino significa trovarsi travolti dalla magnificenza di uno dei più grandiosi eventi dell’architettura e dell’arte barocca internazionale del XVII e XVIII secolo. Si tratta di un complesso monumentale di ben 70.000 metri quadrati di superficie, comprendenti il Palazzo reale, la Chiesa di S. Umberto e i giardini, progettato per i Savoia come residenza e luogo di svago e di delizie dall’architetto Amedeo di Castellamonte tra il 1658 e il 1675 e completato dall’architetto Filippo Juvarra nella prima metà del Settecento.
La ritrovata magnificenza del complesso è stata resa possibile da un progetto europeo senza precedenti e durato otto anni (1998–2006), dedicato al recupero e alla valorizzazione di un bene culturale prezioso e riconosciuto dall’Unesco Patrimonio dell’umanità (1997). La Reggia è stata così restituita alla pubblica fruizione e trasformata nella ‘punta di diamante’ del sistema turistico culturale piemontese.
Non c’era luogo più emblematico, quindi, per ospitare una mostra di ampio respiro dedicata a Raffaello e alla sua influenza sulle arti applicate, chiamate da Vasari arti congerie. “Raffaello il sole delle arti” ha come idea di partenza l’influenza di Raffaello sulla produzione delle arti decorative: un Raffaello, dunque, non idealizzato e codificato nella produzione delle sue eleganti Madonne o dei ritratti di ‘status’, ma artista geniale, produttore di idee e di modelli che, dalla sua affollata bottega romana, si trasferirono negli oggetti d’uso quotidiano, ossia nelle cosidette arti minori. Fu attraverso le incisioni che l’opera figurativa raffaellesca iniziò a diffondersi e a “viaggiare in grande quantità”, divenendo modello e ispirazione per artisti e artigiani in tutta Europa.
La mostra, aperta alla Reggia di Venaria fino al 24 gennaio e curata da Gabriele Barucca e Sylvia Ferino-Pagden, in collaborazione con un comitato scientifico presieduto dal Direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, si sviluppa in quindici sale in cui sono esposti 130 oggetti d’arte tra stampe, oreficerie, maioliche, cristalli, gemme e arazzi, oltre a nove opere pittoriche dell’artista che avviano altrettante sezioni tematiche.
La partenza visualizza la formazione del giovane Raffaello a Urbino nella bottega del padre Giovanni Santi, pittore di corte dei duchi di Urbino, poi a Perugia con Perugino e Pinturicchio, che veglieranno sul suo apprendistato.
Lo straordinario talento disegnativo e la rapidità con la quale elabora le forme e le idee gli guadagnano la fama di fanciullo prodigio, che si diffonde precocemente tra gli amatori d’arte e ricchi committenti. Forte della naturale predisposizione all’assimilazione dei mezzi espressivi e stilistici e alla loro immediata rielaborazione, si trasferisce a Firenze proprio nel momento in cui Leonardo e Michelangelo si confrontano sui ponteggi del salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio (1503). Da allora, tuttavia, il giovane artista non attende altro che la chiamata di Papa Giulio II a Roma, dove si trova improvvisamente calato nel centro nevralgico della politica e della cultura della corte pontificia. E’ qui che assume la funzione di pittore di corte, ruolo strategico e a lui congeniale per dominare le committenze vaticane e crearsi una cerchia di importanti mecenati. Dagli affreschi delle Stanze Vaticane, le Stanze più famose del mondo, nell’appartamento privato di Papa Giulio II Della Rovere (1508–1521), alla Sala detta di Costantino, dove affreschi che simulano arazzi celebrano il trionfo della Chiesa. Raffaello, coadiuvato da un folto stuolo di artisti e allievi, coordina progetti grandiosi – si pensi alla decorazione delle Logge Vaticane e a quella della Loggia della Farnesina – riportando d’attualità un repertorio sterminato di immagini e simboli classici, di grottesche, di ritratti, di motivi archeologici, figurativi e naturalistici. L’impegno di Raffaello e della sua scuola negli ambiti più diversificati trova nelle arti applicate il suo naturale fiume carsico: spazi e luoghi ricettivi che porteranno le sue straordinarie invenzioni a coinvolgere la cultura figurativa europea.
L’idea di questa mostra, come dichiarano i curatori Gabriele Barucca e Sylvia Ferino-Padgen, “è stato proprio il desiderio di mettere in luce questo aspetto dell’attività di Raffaello dedicato alle arti congerie”.
Ecco che attorno alle sue opere esposte, tra le più strabilianti, dalla Santa Cecilia alla Visione di Ezechiele, alla Muta, si snodano sezioni ricche di incisioni e disegni, maioliche, argenti, metalli, ceramiche, arazzi, ecc.
La più preziosa delle sezioni è quella allestita nel teatro della Reggia: l’arazzo raffigurante “La Pesca miracolosa” prestito dei Musei Vaticani – un panno di dimensioni vastissime (493×440 cm), tessuto in lana, seta e filo d’argento dorato, eseguito su cartone di Raffaello nella prestigiosa manifattura di Pieter Van Aelst a Bruxelles e facente parte dell’ “Editio princeps” della serie con gli Atti degli Apostoli commissionati a Raffaello da Leone X per la Cappella Sistina (1517-19) – si trova circondato da altri quattro preziosi esemplari dello stesso soggetto appartenenti a successive repliche dai cartoni raffaelleschi. Questi quattro esemplari della Pesca miracolosa, appartenenti a serie eseguite nel corso del XVI e XVII secolo, evidenziano la fortuna dell’apparato originale formato di nove arazzi con le Storie di san Pietro e di san Paolo, ammirato dal 1519 alle pareti della Cappella Sistina per lo splendore del materiale scintillante d’oro e di seta e la finezza dell’esecuzione. La fonte del tema raffigurato è il Vangelo di Luca e il momento descritto è quello della vocazione di Pietro, mentre gli occupanti la seconda barca proseguono nel tirare le reti. Come in quasi tutti i cartoni con gli episodi delle vite dei due apostoli, Raffaello illustra il momento culminante della storia in primo piano, con figure di scala monumentale compresse nell’ambiente paesaggistico da un bordo a treccia. Nell’arazzo, uno dei più belli della serie, colpiscono i dettagli naturalistici delle gru in primo piano e la perizia degli arazzieri nel rendere trasparenze, luci, ombre, cangiantismi.
La replica accanto proviene dal Palazzo Ducale di Mantova e fa parte della serie tessuta a Bruxelles nella bottega di Jan van Tieghem verso il 1550, acquistata dal cardinale Ercole Gonzaga per ornamento della Cappella palatina di Santa Barbara. Gli arazzi rimasero a Mantova fino al 1866, quando furono trasferiti dagli Asburgo a Schombrunn, da dove ritornarono a Palazzo Ducale al termine della prima guerra mondiale (1919).
In stretto rapporto con la serie mantovana è un’altro esemplare conservato a Madrid: proviene dalla stessa manifattura, presenta disegno, scelte cromatiche e bordure identiche, tanto da presupporre che sia stato acquistato già pronto dagli Asburgo. Rispetto all’ “editio princeps” sono chiare le sensibili variazioni nei dettagli decorativi, nelle scelte cromatiche, ma soprattutto nelle bordure decorate a grottesche con figure allegoriche.
Questo straordinario confronto tra gli arazzi tessuti dalle manifatture brussellesi attive nel XVI secolo con un ulteriore arazzo di analogo soggetto, conservato nel museo della Santa Casa di Loreto e restaurato nei laboratori del Centro conservazione e restauro della Venaria Reale, rimarca la svolta storica che si identifica con la fabbricazione degli Atti degli Apostoli di Raffaello. “Prospettici, magniloquenti, essi dimostrano ai committenti italiani che dal gioco di squadra tra i più moderni pittori della penisola e gli abilissimi arazzieri di Bruxelles potevano scaturire eccelse tappezzerie adatte al loro gusto – scrive Nello Forti Grazzini – mentre i modelli raffaelleschi (cartoni) rimasti nella capitale delle Fiandre stimolavano la virata classica dei cartonisti fiamminghi. Perciò gli arazzi di Raffaello parvero da subito un paradigma di perfezione che le repliche diffusero”.
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Anna Maria Baraldi Fioravanti
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