Oggi è il 6 dicembre e ho un motivo validissimo per sbattermene di nuovo bellamente di quanto accade nel mondo.
Questo motivo ha due nomi e un cognome: Peter Lawrence Buck.
Mi sembra impossibile ma oggi ne compie 59.
Porca vacca come passa il tempo.
Peter Buck non è solo uno dei miei spiriti guida per quanto riguarda l’approccio alla chitarra, lo è anche per quanto riguarda il mio approccio alla vita e al mondo.
Qualcuno si ricorda come suona quest’Uomo?
Qualcuno si ricorda con che aria si aggira sul palco?
Quella sua aria da “uno che non sta facendo un cazzo” possiede una grazia degna di un ballerino classico.
Vogliamo parlare delle sue camicie poi?
Secondo me in fatto di camicie batte anche un fuoriclasse come il suo amico Robyn Hitchcock.
Per quantificare la Grandezza di Peter Buck non occorre ritirare fuori quella sua performance con i vasetti di yogurt in aereo.
Per quantificare la Grandezza di quest’Uomo basta guardarlo in questa foto.
Questa è la faccia di un Uomo che ha capito tutto.
E se qualcuno avesse dei dubbi abbiamo 30 anni di dischi dei R.E.M. e di tutta l’altra roba che ha fatto fuori dai R.E.M..
Lui stesso una volta si è defininito “un chitarrista tecnicamente mediocre”.
E per fortuna, dio santo!
Amo quest’Uomo proprio proprio per questo.
È senza ombra di dubbio il chitarrista più svaccone della storia dello strumento.
Ed è la prova vivente di una grande verità: anche dallo svacco la bellezza può scorrere felice proprio come può scorrere quello yogurt di prima dal vasetto, specie se tu sei in aereo, hai la pancia piena di vino rosso e stai urlando “I Am R.E.M.”.
Incredibile ma vero, questa cosa non l’ho detta io.
È un haiku giapponese di non mi ricordo quale epoca, giuro.
E possiamo noi, stressati occidentali ormai privi di spiritualità, contraddire l’infinita saggezza di un haiku?
Ma direi proprio di no, per dio.
D’altronde quell’ignoto scrittore di haiku (forse è Mr. Roboto) ha millemila prove che depongono a suo favore.
Una su tutte: chi altro poteva suonare la chitarra nei R.E.M. se non Lui, l’Enorme Peter Buck?
Ovvio, nessuno.
Chi altro suona la chitarra come Peter Buck?
Ovvio, nessuno.
Una volta un uomo saggio mi ha detto che Keith Richards è una Grande Vittoria dell’Uomo sulla scienza e io gli schiacciai un cinque per poi accorgermi che la mia mano era finita contro lo specchio del bagno.
E se Keef è questa Grande Vittoria dell’Uomo sulla scienza beh, Peter Buck è La Grande Vittoria del Cuore su tutti quei professorini maledetti della chitarra, freddi come un calippo infilatoci là, in quel posto che usiamo (quasi) tutti ogni mattina per compiere prodigiose meraviglie con ciò che rimane delle nostre pietanze predilette.
Loro e i loro canoni senza personalità, il loro inutile nozionismo, il loro enorme peccato incancellabile: aver trasformato una Cosa Sacra come il Blues in un blocchetto di moduli pre-compilati da ragionieri fantocci.
Possano bruciare eternamente all’inferno.
Loro e chi gli ha dato, gli dà, e gli darà corda.
Possano loro stessi impiccarcisi tutti insieme, con quella corda.
Peter Buck oggi ne fa 59 e in 30 anni ha pensato e suonato delle parti di chitarra apparentemente semplici, sì, ma di una bellezza così pura, personale e alta che voi, con tutti i vostri librini, il vostro nozionismo e le vostre inutili complicanze non raggiungerete mai.
In un certo senso Peter Buck è il Bukowski della chitarra.
Il Bukowski poeta, intendo: le parole che servono, scelte bene, messe proprio dove devono stare, pronte ad arrivare proprio dove devono arrivare.
Scusate ma dovevo celebrare quest’Uomo che tanto mi ha insegnato e tanto continua a insegnarmi.
Dal profondo del mio cuore, solo due parole: grazie Peter.
Anzi, altre due: auguri Peter.
PS: in questo giorno speciale ho il dovere di ringraziare tre donne che mi hanno aiutato a capire la Grandezza dei R.E.M. e del buon Peter.
Una che me li ha fatti scoprire, una che non ha mai smesso di farmi una testa così con loro e una che me li ha fatti riscoprire l’anno scorso marchiandomeli sulla pelle proprio come si fa con quei bei vitellini texani.
Grazie mamma, grazie ET e grazie Imbe.
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