Domani è la Giornata internazionale delle persone con disabilità, un miliardo di disabili nel mondo: come favorire l’inclusione
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da: Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna
In occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna affronta l’argomento
Il 3 dicembre è la Giornata internazionale delle persone con disabilità, istituita nel 1992 dalle Nazioni Unite per aumentare la consapevolezza sulle disabilità e attirare l’attenzione sui benefici per la società derivanti da maggiori accessibilità e inclusione. Il tema di quest’anno è “Questioni di inclusione: accesso ed empowerment per le persone di ogni tipo di abilità”. Le Nazioni Unite stimano che ci siano un miliardo di persone al mondo con un qualche tipo di disabilità (http://www.un.org/disabilities/default.asp?id=1637). Ma c’è di più. Nello stesso documento si fa presente che in una misura o nell’altra tutti noi siamo destinati, presto o tardi, a presentare una divergenza da quella che viene considerata la norma. In questo senso la disabilità può essere considerata una condizione che, prima o poi, riguarda tutti gli esseri umani.
Prendere atto del dato che le disabilità sono molto più presenti di quanto si tenda a pensare può essere un primo passo per costruire l’inclusione. L’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna sottolinea che è essenziale ribaltare la visione attuale, che insiste sulle mancanze, fisiche o cognitive, e al contrario bisogna vedere la persona disabile in primo luogo come una persona. Troppo spesso genitori, operatori e società, hanno la tendenza a concepire la persona disabile come un eterno bambino, anche quando questa condizione è conseguente a traumi o malattie insorte in età giovanile o adulta, non investendo né a livello di immaginario, né attraverso concrete azioni educative sulla sua emancipazione. I genitori, in particolare, temono che questi figli si trovino in difficoltà se non vengono seguiti passo per passo.
Il raggiungimento dell’autonomia è però indispensabile per l’emancipazione della persona. E “autonomia”, per le persone disabili, significa non solo acquisire competenze, ma anche riconoscersi adulti. Non si tratta di “fare tutto da soli”, ma di integrare le proprie capacità con quelle degli altri, con la consapevolezza dei propri punti di forza e limiti. Essere adulti richiede una complessa maturazione psicologica e affettiva. La persona diventa adulta nella misura in cui la sua identità è autonoma e stabile, ed è in grado di fare e realizzare progetti, gestire la qualità del suo tempo, costruire compromessi tra desideri e realtà, adottare comportamenti adeguati ai vari contesti e, quando ciò è possibile, costruire un individuale e originale percorso affettivo, sessuale e familiare.
In generale, la persona per vivere la sua soggettività necessita di partecipare alla vita sociale. Tale inclusione si può favorire solo mettendo le persone disabili in condizione di vivere la propria vita nel modo più pieno possibile, rispettando la specificità di ognuno. Questo significa rendere accessibili luoghi e servizi, come i trasporti e l’educazione; significa dare la possibilità di lavorare, strumento di affermazione della propria identità; significa, in sintesi, permettere di partecipare all’attività sociale e politica, come affermato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006, ratificata in Italia con la legge 18 del 3 marzo 2009.
Il ribaltamento auspicato dall’Ordine è in effetti quello che in sede internazionale è stato messo per iscritto con la Convenzione: esso permette di vedere che le disabilità diventano causa di emarginazione e isolamento più per effetto sociale che per le condizioni reali. Spesso, infatti, è l’interazione tra le menomazioni e le condizioni ambientali e comportamentali a non permettere una vita sociale piena. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità nella classificazione ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) ha evidenziato l’importanza di rapportarsi con la persona disabile focalizzandosi sui suoi punti di forza e sulle sue abilità e non, come avveniva in passato, sui suoi limiti o mancanze.
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