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Consideriamo la ragione la facoltà di pensare, la capacità di discernere il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male: per questo il termine assume spesso connotazioni morali. Diciamo comportarsi secondo ragione, persuadere gli altri con la forza della ragione, perdere il lume della ragione. Usiamo la locuzione arrivare all’età della ragione, riferendoci all’evoluzione degli individui verso la capacità di utilizzare una forma di pensiero logicamente fondato.
La ragione sembra, quindi, una capacità propria e naturale dell’individuo nell’età adulta. In realtà sappiamo quanto la nostra razionalità sia fragile in molte circostanze: siamo preda di illusioni e di trappole della mente, il modo in cui le informazioni ci vengono presentate ne influenza l’interpretazione, spesso non sappiamo valutare che cosa è meglio per noi, soprattutto quando si tratta di stimare condizioni future. Insomma la razionalità è meno solida di come ci piacerebbe credere. La nostra ragione è preda di illusioni e di errori: trappole cognitive le definiscono gli psicologi, in altre parole – come avrebbero detto i nostri nonni – spesso “prendiamo lucciole per lanterne”.
Uno sguardo ai comportamenti sociali, del resto, sembra delineare un tempo ben poco orientato alla ragione. Pratica smarrita nella comunicazione pubblica – in cui imperversa il linguaggio delle emozioni su ogni esigenza di fondare analisi sui dati di realtà – anche nella vita privata la ragione “non sta tanto bene”.
Torniamo quindi a parlare di ragione. Lo faremo il 23 novembre alle 17, alla Biblioteca Ariostea, nel ciclo che l’Istituto Gramsci e l’Istituto di Storia Contemporanea dedicano agli insegnanti. Anticipo qualche tema che cercherò di proporre alla discussione.
La ragione è una pratica, una cassetta di attrezzi per la vita personale e sociale. Non ha senso contrapporre emozione a ragione: non esiste una ragione che non sia alimentata dai sentimenti, dalle passioni che nutriamo verso i più disparati ambiti della vita. Non potrebbe esistere una procedura senza uno scopo, ma nessuno scopo può essere raggiunto se siamo preda solo di emozioni.
A partire da questa premessa, si comprende l’approccio con cui si può educare alla ragione. È necessario dare un fondamento “razionale” alle passioni. Non basta dichiararle, bisogna renderle realizzabili, per questo occorre mettere in atto strategie, acquisire competenze, conoscere le procedure. La ragione ci consente di rendere realizzabili le nostre passioni, farle diventare progetti di identità.
In un libro intitolato “Flow: The Psychology of Optimal Experience” (uscito nel 1990) lo psicologo Mihály Csikszentmihalyi affermava che nulla dà più felicità che essere immersi in un’attività che amiamo. Personalmente considero la scrittura un esempio pertinente. E aggiungeva che le condizioni associate ad un tale stato di felicità si fondano su alcune premesse: avere obiettivi chiari, concentrarci su ciò che stiamo facendo, avere motivazioni solide e un coinvolgimento profondo, sentirci padroni di ciò che facciamo, possedere le competenze adeguate, poter misurare i risultati del lavoro. Mi sembra che vi siano molti spunti per educare a coltivare passioni fondate sulla ragione.

Maura Franchi è laureata in Sociologia e in Scienze dell’educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei consumi presso il Dipartimento di Economia. Studia le scelte di consumo e i mutamenti sociali indotti dalla rete nello spazio pubblico e nella vita quotidiana.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it

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