LA RIFLESSIONE
Dilemmi della complessità e scelte etiche
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Viviamo in un mondo straordinariamente complesso fondato sull’incessante azione di influenzamento che agenzie e soggetti istituzionali svolgono per orientare atteggiamenti, opinioni, scelte e decisioni di altri soggetti verso scopi ritenuti per qualche motivo rilevanti. Per vivere consapevolmente in questo mondo, godendone i frutti migliori e senza esserne vittime, occorre conoscenza e capacità di discernimento; serve creatività, capacità di pensare fuori dagli schemi mantenendo un forte senso della propria responsabilità. Servono regole di pensiero e guide di comportamento che consentano un orientamento e permettano di valutare con indipendenza di giudizio gli eventi sociali, la finanza, l’economia, la politica, gli affari, l’informazione, la tecnologia.
Ogni giorno siamo impegnati in un costante processo cognitivo ed emotivo che ci porta a valutare e giudicare eventi e notizie, fatti ed accadimenti, che vengono portati all’attenzione da un sistema mediatico sempre più invasivo e diffuso. Su questi prendiamo spesso partito, discriminiamo tra ciò che riteniamo bene e male, giusto o sbagliato; siamo in altre parole impegnati nostro malgrado in un processo di tipo etico mirato a distinguere, dal nostro particolare punto di vista, fatti e comportamenti buoni, giusti, o moralmente leciti, da fatti e comportamenti cattivi o moralmente inappropriati.
L’esperienza insegna che, in quanto soggetti sociali, siamo sempre coinvolti in queste procedure quotidiane di valutazione che usiamo, in modo implicito o esplicito, per dirimere questioni, giudicare eventi, fare scelte; dietro queste procedure siamo costretti a riconoscere l’esistenza, spesse volte oscura, di alcuni principi, di alcuni valori ai quali ci affidiamo, a volte in modo intuitivo altre volte in modo ragionato, per sostenere ed argomentare la bontà delle nostre posizioni: conseguenza, dovere, diritti, giustizia sociale, cura, sono alcuni dei più noti. Questi principi forniscono una guida per l’azione e consentono di dare fondamento a ciò che si ritiene essere giusto e buono rispetto a ciò che si definisce male e sbagliato.
Secondo il principio di conseguenza caro all’utilitarismo, un’azione è ritenuta buona e giusta in base alle conseguenze che produce; ad esempio se permette di ottenere i migliori effetti positivi per il maggior numero di persone.
Se usare il criterio del dovere un’azione è giusta e buona se deriva dal rispetto di un obbligo derivante da ruoli, leggi, prescrizioni di tipo morale o religioso, ovvero da obbligazioni ed aspettative che altri soggetti hanno rispetto ai comportamenti propri di un ruolo o di una persona. L’imperativo morale che ne consegue può essere descritto dalla regola aurea “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso”.
Se ci si appella al criterio dei diritti, un’azione è ritenuta giusta e buona se tiene sempre in considerazione i diritti di ogni persona, li rispetta e li garantisce. La salvaguardia dei diritti delle persone comporta il suggerimento morale di trattare le persone sempre con un fine in sé e mai come un mezzo.
Se si usa il criterio della giustizia sociale un’azione è giusta e buona se garantisce l’equità, ovvero se garantisce un comune accesso alle libertà fondamentali, se contrasta l’ineguaglianza sociale e la sperequazione economica.
Infine se si adotta il criterio della cura, già fondamento degli approcci femministi, un’azione è ritenuta giusta e buona se sviluppa e protegge le relazioni e tiene conto del contesto nel quale si manifestano i dilemmi etici di creature che prima di essere razionali sono sensibili.
Quale principio tendiamo ad adottare per giudicare quanto avviene nel mondo? E quale principio orienta maggiormente le nostre azioni? Quali principi siamo in grado di riconoscere alla base di particolari decisioni politiche o amministrative? Oppure non usiamo nessuno di questi principi ed accettiamo per buone, acriticamente, le idee e le decisioni del nostro clan di appartenenza, del nostro gruppo o della parte sociale o politica alla quale riteniamo di appartenere?
Nessuno di noi è tenuto ad essere un filosofo ma un minimo di consapevolezza circa questi assunti taciti può aiutare la comprensione reciproca e può aiutare a comprendere un po’ meglio la complessità quotidiana in cui viviamo, evitando quegli scontri frontali che sempre più spesso avvelenano il clima e sostituiscono quel processo di costruzione di senso basato sulle differenze che sta alla base della democrazia.
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Bruno Vigilio Turra
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