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4. SEGUE – Nel settembre del 2013 un gruppo di colleghi cassintegrati ha organizzato una festa di piazza nel comune sede dello stabilimento con tanto di ospiti: cantanti, cabarettisti e una giovane rock band, tutti intervenuti a titolo gratuito. Fu allestito un palco e un piccolo stand gastronomico che distribuiva piadine, panini e birra. Intervenne anche il giovane sindaco del Pd, che parlò del problema dei lavoratori e della minaccia di chiusura definitiva dello stabilimento, concluse promettendo che avrebbe continuato a interessarsene.

È Alessandro a raccontare, è stato uno degli organizzatori. Mentre parla fa una smorfia, “Un anno fa ci speravamo ancora… Abbiamo fatto tutto coi fondi della Rsu, contavamo di incassare abbastanza per rifarci delle spese… Lo sai anche tu, alla festa pensavamo venisse tutto il paese, invece… Magari è stata colpa della pioggia!” Lo dice con amarezza, la scarsa partecipazione della cittadinanza è stata presa male da tutti quanti noi, quasi come un tradimento. Eppure, in quarant’anni, dentro lo stabilimento avevano lavorato tre generazioni di operai nati proprio lì. È pur vero che, da quando sono arrivati i francesi, tra la gente del paese non è stato più assunto nessuno. Sarà un caso ma, dati alla mano, negli ultimi dieci anni sono stati presi solo lavoratori stranieri: pakistani, bengalesi, senegalesi e marocchini. E tra i lavoratori anziani, ormai un’esigua minoranza, qualcuno ha insinuato che  tutto è andato in malora anche per questo.
Alessandro rassicura: “In fabbrica da noi il razzismo non s’è mai visto!” Poi però precisa: “Certo, non significa che fossimo tutti fratelli… Ogni reparto era un mondo a parte, poi c’erano le squadre, i turni. Si lavorava divisi in tanti gruppi e c’era anche parecchia competizione… si litigava spesso e qualcuno è pure venuto alle mani! Ci sono cose, soprattutto negli ultimi tempi, che non mi mancano affatto. Però ho anche molti bei ricordi e ho potuto farmi dei veri amici, non è una cosa da poco”.
Anche gli stranieri che ho conosciuto confermano di non avere mai subito episodi di razzismo all’interno della fabbrica. La musica cambia quando l’argomento si sposta fuori, nel presente.
“Credo che non resterò in Italia”, mi dice Karim, tunisino di trentatré anni. “Noi arabi adesso non siamo visti con rispetto. Non dico che in Italia c’è razzismo, ma se non c’è lavoro non ti accettano e ti guardano come una minaccia. In Francia e in Germania magari c’è più razzismo, ma forse c’è più possibilità di lavoro. Perciò se qui non cambia la situazione dovrò decidere di andarmene via. Vicino a Lione ho dei parenti, probabilmente andrò da loro”.
Anche Shiraz è dello stesso parere: “Io sinceramente in Italia il futuro non lo vedo. Ti dico la verità, quando vado a portare domanda di lavoro mi guardano, ridono e poi dicono che devono decidere, ma io so già che non assumono. Il futuro lo vedo male!”

Parecchio tempo dopo sono uscito a bere una birra con i colleghi con cui ho legato di più, ormai semplicemente amici: Alessandro, Cristiano e Fabio. Ho chiesto loro se c’erano novità riguardo la scadenza definitiva della “cassa”, prevista per fine anno, mi hanno detto che è rimasto tutto immutato e che passeremo sicuramente tutti in mobilità con l’anno prossimo. Si spera soltanto che la trattativa intavolata con i due acquirenti interessati a rilevare gli stabilimenti in Lombardia vada in porto e che non si arrivi al fallimento dell’intero gruppo (eventualità che non muterebbe di una virgola la nostra posizione, ma che allungherebbe di molto i tempi di riscossione dei Tfr e degli stipendi arretrati). Al pub siamo tutti delle altre persone, più rilassati e decisamente di buonumore, niente a che vedere coi musi lunghi delle assemblee.
“Nei turni di notte, quando le commesse erano lunghe e il materiale non creava problemi, non possiamo dire di non essercela spassata”, confessa Alessandro da dietro il suo boccale da mezzo litro. “Tra un cambio di bobina e l’altro c’era anche il tempo di fare le aste del fantacalcio”, aggiunge Cristiano, poi prosegue: “Adesso che ho il bimbo e non lavoro, ho meno tempo di prima!”
Il clima è senz’altro allegro, ma avverto anche molta malinconia nelle loro parole.
A questo punto Fabio, il più giovane di tutti e l’ultimo arrivato, interviene. “Gente, la verità è che la nostra squadra era la migliore! Tu Civo (Cristiano) eri il miglior calandrista, e tu Zucco (Alessandro) eri il miglior aiutante. Non ci sono dubbi!”
“Mah… chissà se Zanetti (il responsabile della produzione, ndr) sarebbe d’accordo”, commenta ironico Cristiano. “Di notte in calandra, quando il capoturno lo faceva Beppe, ci potevi portare pure la Playstation!”, rivela Alessandro, “vi ricordate quando capitavamo in turno con Talassi? Le grigliate che ci siamo fatti alle tre di notte?”
“Io ricordo che ero solo in taglierina a mangiare la pizza, col lucido 180, e in un attimo s’è incastrato tutto. Urlavo ma voi niente perché giocavate con le cuffie; lì mi ero anche incazzato!” aggiunge Fabio fingendo una vena polemica. “Te l’ho sempre detto che non si mangia in taglierina!”, ribatte sornione Cristiano.

Dopo il primo giro di birre si torna al presente. Io ne approfitto e azzardo la domanda più banale e antipatica che potessi fare: “Voi ragazzi come passate le vostre giornate da cassaintegrati?”
Il primo a rispondere è Alessandro: “Io direi abbastanza bene. Ho molti passatempi a cui ora posso dedicare tutto il tempo che voglio, prima col lavoro non potevo. Prendo pochi soldi, ma non ho un mutuo e nemmeno figli da mantenere, quindi va bene lo stesso. Vado in bici, passo molto tempo con la play e anche su Internet. Ho fatto un bel po’ di corsi professionali. Tutto sommato non me la passo malaccio. La cosa veramente negativa è che prima o poi finisce! Ma io non faccio testo, molti nostri colleghi se la stanno passando molto male: hanno famiglie da mantenere e mutui o affitti da pagare, e la miseria che ci danno di sicuro a loro non basta. È per questo che non mi lamento!”
“Io faccio l’uomo di casa”, prosegue Cristiano, “in questi due anni di cassa ho accudito e visto crescere mio figlio. Se avessi lavorato, molte cose me le sarei perse. Temo che quando dovrò ricominciare a lavorare sarà un trauma staccarmi da lui, abituato come sono ad averlo sempre con me. Intanto cerco di rendermi utile e sgravare dalle spalle della Ceci molti lavori che fa lei. Anche io ho fatto corsi serali e ho aggiornato un po’ di conoscenze. Adesso sono iscritto a varie agenzie interinali, ma fino ad ora non s’è mosso nulla”. Fabio è l’ultimo: “Ora sto frequentando un corso professionale, alla fine sarò selezionato per fare uno stage in un’azienda della provincia, poi non so se mi assumeranno. In casa do una mano ai miei, passo parecchio tempo alla Play, in chat o su facebook. Vado in palestra, alla sera esco a bere con gli amici e una volta alla settimana vado con la squadra di biliardo a giocare qualche torneo. La solita roba insomma!»
La serata prosegue leggera, si parla al solito di calcio, di quella trattoria a Granarolo dove fanno le fiorentine come in Toscana, della cameriera mora molto carina e del fatto che sarebbe ora che Fabio si trovasse finalmente una morosa. Si ride, si scherza, si fanno battute, per questa sera i problemi restano fuori, disoccupazione e cassaintegrazione sono rimandate a data da destinarsi.

4. CONTINUA [leggi la quinta parte]

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

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