Pare essere il suo destino: rimasta nell’ombra tutta la vita, lei ogni tanto rivive. E’ successo nel lontano 1989, quando la prof.ssa Carla Collina portò con grande partecipazione ed entusiasmo gli studenti di Francese del Liceo Ariosto a vedere il film in lingua Camille Claudel, interpretato da un’intensa Isabelle Adjani. E’ successo nel 2003 con le poesie di Monica Pavani Luce ritirata, che le hanno valso il Premio Senigallia. E succede ora: un gruppo di danzatrici dirette da Caterina Tavolini sta mettendo in scena una coreografia ispirata alle sculture di Camille Claudel e a poesie di Monica Pavani, che andrà in scena il 10 maggio alla Teatro Cortazar di Pontelagoscuro. Non si tratta di un semplice tributo all’artista, tutt’altro; l’intento che di tanto in tanto si rinnova nelle donne ferraresi è di farla rivivere, fornendole le parole che lei non possedeva “Il linguaggio non mi ama, solo il marmo in me aveva fissa dimora”, e i movimenti che traggono vita dalle sue sculture.
Abbiamo incontrato queste tre donne in un momento corale, e ricavato una ricca “intervista-suggestione”, per capire cosa le ha affascinate dell’artista, e per condividere le passioni e le ragioni che ci fanno ancora parlare di Camille Claudel.
“E’ stato alla mostra di Reggio Emilia del 2003 a Palazzo Magnani – racconta Monica Pavani – che ho scritto la prima poesia della raccolta. Prima di allora avevo visto solo qualche fotografia delle sculture, ma non sapevo nulla della sua storia. Sono arrivata alla mostra un po’ per caso, l’ultimo giorno, non c’era quasi nessuno. Si poteva girare attorno alle statue, quelle di Camille e quelle di Rodin; ho visto Sakountala nella versione dell’una e dell’altro, il meraviglioso La Valse dalla quale non riuscivo a staccare gli occhi, e lì ero già rapita dalla materia e dal genio dei due, ma poi, davanti ad un piccolo busto in marmo bianco di una bambina (La petite châteleine) con due grandi occhi sgranati, con uno sguardo che ti guarda dentro e carico di tutti i segreti dell’umanità, sono scoppiata in lacrime. In balia di tutto questo, cominciando a percepire che lì si stava parlando di una sapienza dolente e acuta, mi sono diretta nella saletta in cui veniva proiettato il video sulla vita di Camille Claudel, realizzato in occasione della mostra, e guardandolo mi si è spaccato qualcosa dentro. Ho provato una sensazione di grande estraneità: non poteva essere che la donna di cui stavo scoprendo un destino profondamente ingiusto – tanto da venir rinchiusa per trent’anni in un ospedale psichiatrico – fosse la stessa che doveva aver vissuto momenti di passione così autentici e profondi, tanto da segnarne il corpo e l’anima e che, attraversandoli, aveva saputo trasfonderli nelle sue opere con una chiarezza e una limpidità disarmanti. Poi sono andata a riguardarmi tutte le sculture e lì mi è venuta di getto la prima poesia della raccolta, che è tale e quale come è stata pubblicata: le parole continuavano a rigirarrmi nella testa, me le ripetevo in continuazione, non potevo farne a meno… sono arrivata in stazione, ho preso un foglietto di carta e le ho scritte:
“Noi siamo degli altri
che siamo noi
e restano
di pietra.”
M. Pavani, Luce ritirata, Ed. La Fenice, Premio Senigallia, 2005
Quello che sentivo sulla pelle era lo scarto, la differenza, l’estraneità tra l’artista e la sua vita: Camille aveva toccato la propria anima, l’aveva vista bene, conosciuta e anche scolpita nel dettaglio, ma poi la vita non aveva preso quella forma. C’è uno scarto enorme tra l’anima e la vita dell’artista, le due cose non coincidono affatto, se non durante il periodo in cui lei e Rodin si amavano e lavoravano insieme, con passione e complicità, nei momenti in cui la mano di Camille si confondeva con quella di Rodin, e insieme davano vita ad opere meravigliose.
Nei quattro o cinque giorni successivi alla mostra, mi sono venuti fuori altri pezzi di versi, frasi, parole, non capivo come arrivassi a pensarli, sembrava che fossero di qualcun altro. Solo in un secondo momento ho cominciato a documentarmi, sono andata a Parigi, ho letto i libri sulla vita e sulle opere, e completato la mia raccolta dandole la forma del diario spezzato, per frammenti, con grandi pause fra un’ ‘annotazione’ e l’altra.»
La mostra di Reggio Emilia del 2003 di cui parla Monica Pavani è la prima retrospettiva allestita in Italia, dopo la riscoperta dell’artista. Venne realizzata grazie alla collaborazione di Reine-Marie Paris, pronipote di Camille, che fin dalla giovinezza si è impegnata a collezionare e studiare le sue opere, oltre a ricostruirne la biografia. Dopo la laurea Reine-Marie Paris si è unita alle ricerche pionieristiche su Camille Claudel di un suo professore di storia, Jacques Cassar, e le ha dedicato la tesi di specializzazione in Storia dell’arte. Instancabile, grazie alle sue conferenze, alla partecipazione a decine di mostre tenute in tutto il mondo, e grazie ai consigli che ha dato come direttore artistico al regista Bruno Nuytten di Camille Claudel, Reine-Marie Paris ha contribuito enormemente a fornire una conoscenza precisa e ben documentata dell’artista e a farne comprendere e apprezzare il suo genio. Ancora oggi la sua collezione è la più ricca e completa.
A partire dagli anni ’80, dopo appunto le prime ricerche su di lei e soprattutto con il romanzo di Anne Delbée, a Camille sono stati dedicati lavori teatrali, coreografie e opere cinematografiche, il film di Bruno Nuytten con Isabelle Adjani che ne crea il mito. Il film racconta la passione divorante, feconda poi distruttiva, di Camille Claudel per la scultura e per Auguste Rodin.
Nella «fiche technique» del film, preparata dalla Prof.ssa Collina per gli studenti di Francese e conservata al «Centro documentazione donna » di Ferrara, c’è un articolo apparso su “Le Français dans le Monde” del critico francese Michel Estève, che scrive: “Per lungo tempo Camille Claudel è rimasta nell’ombra. All’ombra di Rodin, di cui fu allieva, poi amante. All’ombra di suo fratello Paul, di cui la personalità e l’opera ne hanno occultato il genio. Oggi, i riflettori sono puntati su di lei. Evento cinematografico di quest’inverno, Camille Claudel, opera comune di Bruno Nuytten, noto direttore della fotografia, e Isabelle Adjani, tirano fuori dall’ombra colei di cui Paul Claudel disse: “C’est un mystère en pleine lumiere”.
Interessante anche ciò che scrive dell’attrice: “Isabelle Adjani si è appassionata a Camille Claudel, precorritrice della donna moderna, scultrice di fine ‘800 sconosciuta, sprofondata nella follia dopo la rottura con Rodin. Questo film non sarebbe potuto uscire senza Isabelle Adjani: lei è stata l’anima dell’impresa, acquisendo, per l’adattamento cinematografico, i diritti del libro scritto da Reine-Marie Paris, convincendo la famiglia Claudel a permettere la realizzazione del film (prima ci avevano provato, ma senza riuscirci, Claude Chabrol e Isabelle Huppert) e Gérard Depardieu a interpretare Rodin. Al fine di far nascere il film, l’attrice ne è diventata anche produttrice.”
Carla Collina però conobbe Camille Claudel molto prima di tutto questo: “Io ero studentessa negli anni ‘70 a Parigi – racconta – dove stavo preparando la mia tesi con Roland Barthes. Un giorno andai al Museo Rodin e rimasi molto colpita da quelle sculture che, allora, erano tenute in disparte in una piccola saletta al piano terra. Dopo la visita rimasi lungo a riflettere, passeggiando nel parco del palazzo, e da lì cominciò la mia ricerca attorno a quella figura femminile di fine ‘800.
“Anch’io – racconta Caterina Tavolini – l’ho scoperta al Museo Rodin, nei primi anni ‘80. Ma la passione è nata con il film. Per la coreografia che sto creando, mi sono ispirata a tre donne artiste, Camille Claudel, Frida Khalo e Pina Bausch perché c’è una cosa in comune tra queste donne: tutte e tre hanno avuto il coraggio di scolpire l’animo umano, ognuna a suo modo e con la propria arte; nelle loro opere fanno emergere le parti belle e quelle brutte dell’umanità, la bellezza ma anche la crudezza, gli aspetti di cui di solito non si vuole parlare. E le sculture di Camille, in particolare, rappresentano la danza dei sentimenti colti all’apice della loro espressione.”
“In più, Camille – aggiunge Monica – è stata la principale fonte d’ispirazione per Rodin: le figure e i volti che Rodin ha scolpito ispirandosi a Camille sono i più belli in assoluto; alcune opere che lui ha realizzato quando era già famoso, come Il Bacio, segnano ormai una fase puramente estetica del suo lavoro.”
Camille aveva un certo carattere. Donna forte e coraggiosa, scolpiva giorno e notte senza sosta, ha dato tutto per la scultura e per Rodin, con un’intensità e un’autenticità senza pari, tanto da finire un certo punto per ammalarsi: “dopo la rottura con Rodin delirava e aveva manie di persecuzione sempre più frequenti” dice Monica. Rodin scrisse di lei: “Ha una natura profondamente personale, che attira per la grazia ma respinge per il temperamento selvaggio.”
Carla Collina introduce alcuni elementi necessari per contestualizzare la storia di Camille Claudel, e dice: “Per capire le cause della sua psicosi però, bisogna considerare anche che, dopo la rottura con Rodin, ha lottato tantissimo, per anni, per affermarsi sul piano professionale, in un periodo in cui la scultura era ancora appannaggio maschile, e per delle difficoltà economiche e cita: «la mancanza di denaro era una preoccupazione costante per lei, perché scolpire è dispendioso e tutte le sue risorse andavano per pagare i modelli, i praticanti, il marmo, l’onice, per la colatura in bronzo, spendeva tutto per le sculture, tagliava su cibo e vestiti, rinunciava alle distrazioni». Ad un certo punto ha ceduto, non ce l’ha più fatta e si è ammalata.”
Effettivamente la vita e l’opera di Camille Claudel si fondono totalmente: “In Camille Claudel le vicende dell’esistenza personale e gli esiti dell’opera si sono inestricabilmente mescolati e fusi. Molte delle sue sculture sono il diario, il grido disperato di un’anima che passa dalla felicità di un tormentato rapporto d’amore, quello che la legò, per alcuni anni, a Rodin, al rancore e alla rêverie di ciò che non è stato e mai potrà essere. […] Sakountala, La Valse, Clotho, L’Age mûr, L’implorante, Perée et la Gorgone, Profonde pensée, Rêve au coin du feu, Vertumne et Pomone sono l’esaltazione amorosa, l’illusione della felicità e delle promesse di fedeltà, dell’abbandono, del risentimento, della solitudine estrema, dell’amara consapevolezza di una ferita che mai potrà rimarginarsi. A lei fu data la dolorosa capacità di “dare forma alle proprie visioni interiori, di strappare all’ignoto che ci abita – “il salvame” del “nostro intimo” di cui parla Rilke nelle Elegie duinesi – brandelli di verità, di vedere più nitidamente ciò che altri potevano solo superficialmente intuire. Perché sono, le sue opere, sofferenza pagata.” (Introduzione di Sandro Parmiggiani a, A. Normand Romain, Camille Claudel e Rodin. Le temps remettra tout en place, Édition du Musée Rodin, Paris, 2003 – Catalogo della mostra a Palazzo Magnani, Reggio Emilia, 14 giugno – 31 agosto 2003).
Comunque sia, già ai suoi tempi era chiaro che Camille Claudel fosse ritenuta una scultrice di straordinario talento, perizia tecnica, sensibilità e intuizione, e che seppe dare un contributo di rinnovamento in una disciplina, la scultura, che soprattutto a quei tempi era appannaggio maschile. Il critico d’arte Octave Mirabeau scrisse di lei “è una rivolta della natura, una donna di genio”.
Ma il fermento attorno a questa figura non sembra ancora arrestarsi: è appena uscito il secondo film a lei dedicato Camille Claudel 1915 di Bruno Dumont, con una splendida Juliette Binoche; nella primavera del 2015 aprirà il Museo Camille Claudel nella casa di Nogent-sur-Seine che la famiglia Claudel abitò dal 1876 al 1879. Per quanto riguarda Ferrara, Carla Collina, Monica Pavani e Caterina Tavolini non escludono di costituire in futuro un’associazione dedicata a Camille Claudel.
Biografia di Camille Claudel [vedi]
Bibliografia su Camille Claudel [vedi]
Carla Collina è stata docente di Francese presso il Liceo L. Ariosto di Ferrara dal 1979 al 2010; per vent’anni docente-formatrice di didattica delle lingue straniere PSLS in provincia di Ferrara e in regione, è stata tra le promotrici dell’introduzione dello studio di una lingua straniera alle elementari. Ha pubblicato libri per la scuola superiore tra cui “Il nuovo esame di stato di francese” con la Loescher, e articoli di didattica francese in varie riviste del settore, italiane ed estere, tra cui “Le français dans le monde” e “Reflet”. Come giornalista pubblicista, ha collaborato assiduamente alla rivista “Leggere donna” di Luciana Tufani Editrice.
Monica Pavani è docente di Inglese presso il Liceo sociale Carducci di Ferrara, docente di Lingua e letteratura italiana di livello avanzato presso Middlebury college school in Italia, traduttrice letteraria presso varie case editrici (Adelphi, Mobydick, Il Saggiatore, Rizzoli, Fazi, ecc.) e giornalista pubblicista.
Caterina Tavolini, coreografa, danzatrice e insegnante di Danza contemporanea creativa presso il New sesto senso a Ferrara, docente di Educazione fisica nella provincia di Rovigo.
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Sara Cambioli
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