Per le politiche ambientali è tempo di anniversari e bilanci. L’occasione è fornita da due ventennali veramente emblematici. A livello globale, il ventennale della Conferenza di Rio che suscitò grandi speranze di un futuro della Terra all’insegna della sostenibilità. Sul piano italiano, quello della legge quadro delle aree protette che promosse una innovativa collaborazione tra Stato e Regioni a favore della difesa della biodiversità. Proprio a Rio de Janeiro, si è da poco conclusa l’evanescente Conferenza ‘Onu Rio+20’, in cui, a differenza del Earth Summit di due decenni fa, si è respirato un clima di amara delusione.
Ad una crescita della consapevolezza scientifica delle cause antropiche dei mali ambientali che affliggono il pianeta è corrisposto, in misura inversamente proporzionale, un indebolimento nell’ultimo ventennio della volontà politica di debellarle. Come raccontano incontestabilmente i dati sul popolamento umano e i suoi consumi, sulla biodiversità e sul surriscaldamento globale sempre più invasivo in termini di costi economici ed umani per gli uragani, le siccità e le alluvioni. Unica nota di consolazione, in un contesto produttivo minato dalla speculazione finanziaria, la crescita in controtendenza, per fatturato ed addetti, dell’economia verde.
Solo entro il 2015, con un accordo globale, forse verranno assunti nuovi impegni per la difesa del clima. Nell’attesa, liberi tutti, i governi nazionali, di scegliere tra continuità e cambiamento in materia ambientale. E l’Italia? Vent’anni fa, con l’approvazione della legge 6 dicembre 1991, n.394, sembrava che essa fosse divenuta, in ambito europeo, un astro nascente delle aree naturali protette.
Oggi, alla prova dei fatti, il Bel Paese si è illanguidito nella condizione più realistica di stella cadente. Per responsabilità politiche che vanno equamente distribuite tra Stato e Regioni. Sia a destra che a sinistra dello schieramento politico – tranne rare e lodevoli eccezioni – è prevalsa progressivamente la irresistibile vocazione alla balcanizzazione, alla cura del proprio orticello istituzionale.
Lo Stato si è occupato esclusivamente dei parchi nazionali e delle aree marine protette. Per primo, esso ha contravvenuto al nuovo spirito federalista e al principio della sussidiarietà, non trasferendo, contrariamente agli impegni assunti, la gestione delle sue centotrenta Riserve naturali disseminate lungo tutto lo Stivale né ai propri parchi nazionali né a quelli regionali. Le Regioni non da meno si sono occupate solo dei loro parchi naturali. Per non parlare dell’ UPI impegnata fino a qualche mese fa, senza avvertire il ben che minimo senso del ridicolo – i Parchi naturali ci sono in tutto il mondo, le Province no! –, a proporre lo scioglimento dei parchi regionali e il trasferimento delle loro funzioni alle Province. Tra Ravenna e Ferrara, non si è ancora spento l’eco delle strampalate idee tese addirittura a smembrare il Parco Regionale del Delta del Po dell’Emilia-Romagna in due parchettini provinciali.
Il principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni, l’asse politicamente portante della legge 394, incardinato nel comitato paritetico Stato-Regioni e nel programma triennale per le aree naturali protette, è così via via evaporato assieme all’impegno di redigere la Carta della natura, lo strumento fondamentale per la corretta pianificazione della Rete Ecologica Nazionale, e alla promozione – prevista dalla successiva legge 9 dicembre 1998, n° 426, ‘Nuovi interventi in campo ambientale’ – dei progetti di sistema per i parchi dell’Arco alpino, dell’Appennino, delle Isole e delle Aree marine protette.
Sempre a proposito dello svilimento delle misure di protezione ambientale, va ricordato, non per ultimo in ordine d’importanza, il ribaltamento gerarchico previsto dal nuovo Codice del Paesaggio del rapporto tra il Piano del Parco e quello Paesistico. In questo desolante panorama, al posto dell’ essenziale Piano per la Biodiversità ha visto nel frattempo la luce unicamente una debole omonima Strategia nazionale. E, questa – buona ultima –, solamente nell’ottobre del 2010. A sedici anni di distanza dal recepimento del nostro Paese della Convenzione Internazionale sulla Biodiversità. E a soli dieci giorni dallo svolgimento a Nagoya della Decima Conferenza delle Parti sulla Diversità Biologica.
Insomma, se è vero che in questo ultimo ventennio in Italia sono stati compiuti passi da gigante nell’incrementare il territorio presidiato dai Parchi, è ancora più vero purtroppo che a questa crescita non è corrisposta una adeguata gestione ambientale dei parchi medesimi, come dimostrato dalla risicatissima quantità di Piani territoriali e dei relativi regolamenti approvati. Lo stesso va detto anche al riguardo dei necessari Piani socio-economici, senza i quali, la promozione dello sviluppo sostenibile resta soltanto un vacuo proponimento.
In Italia, diversamente dai Paesi più avanzati, in buona sostanza, non ha trovato ancora piena cittadinanza la specificità istituzionale dei parchi naturali come enti speciali dedicati alla gestione di ambienti di valore tanto straordinario da costituire i nodi strategici della propria Rete Ecologica Nazionale. Infatti, la debolezza di quest’ultima è provocata proprio dalla genericità della missione affidata ai parchi medesimi e dalla conseguente mancata assegnazione ad essi di ruoli diversificati nella protezione della biodiversità.
Le cause principali di tale deriva vanno individuate nella scarsa propensione all’ innovazione e nel debole e contraddittorio rapporto con il mondo scientifico intrattenuto dal sistema politico-istituzionale italiano. Clamorosa, in questo senso, è stata l’assenza di qualsiasi riferimento al Bacino del Po tra i progetti di sistema dei parchi previsti dalla legge 426/1998, ‘Nuovi interventi in campo ambientale’. Eppure, il sistema ambientale costituito dal grande fiume ed i suoi affluenti è lo straordinario corridoio ecologico che connette intimamente la Pianura Padana agli altri sistemi ambientali dell’Arco alpino, dell’Appennino e del Mediterraneo.
Sempre allo stesso anno, il 1998, risale invece il primo blando inserimento delle aree emiliane colpite dal luttuoso terremoto del maggio scorso nella nuova zonazione sismica italiana. Ma bisognerà attendere altri otto anni per la sua definitiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La grande pericolosità sismica della Dorsale Ferrarese è nota al mondo scientifico da centinaia di anni. Le immagini dei capannoni atterrati dal terremoto alla stregua di castelli di carte, in un distretto industriale di sofisticatissima tecnologia e di elevato peso nell’economia nostrana, sono la penosa prova provata dell’insostenibilità dei modelli di sviluppo che hanno interessato la Pianura Padana e della inadeguatezza, a dir poco, delle politiche di prevenzione di Stato e Regioni dai rischi ambientali.
La Pianura Padana vanta molti primati e forti contraddizioni. E’ una delle aree economiche più ricche del mondo. Abitata da circa 16 milioni di abitanti, meno di un terzo della popolazione italiana, produce più del 40% del Pil nazionale e allo stesso tempo sversa nel Mare Adriatico sostanze inquinanti equivalenti a tutto il popolamento italiano moltiplicato per due. Qui, fino a qualche anno fa, si collocava il 37% dell’industria nazionale, il 35% della produzione agricola, il 55% della zootecnia, il 48% del consumo nazionale di energia elettrica. Tale quadro non è sostanzialmente cambiato. E sempre qui, specularmente, si emette il 40%, in Co2 equivalente, di tutti i gas climalteranti del paese ed il 50% di quelli più direttamente nocivi alla salute.
Al centro della nostra più grande pianura, scorre il fiume Po: la principale risorsa idrica della nazione. Il Bacino del Po è fortemente interessato dalle gravi conseguenze dei cambiamenti climatici con un alternarsi di periodi siccitosi e calamitosi, sempre più preoccupante, come dimostrato proprio dal disastroso andamento della stagione agraria in corso. Ed anche dai ben magri prelievi ittici nell’alto Adriatico seguiti all’estivo fermo pesca. Perché a mare, per la siccità, arrivano meno nutrienti. Per non parlare, poi, dell’aumentata vulnerabilità della fascia costiera padana interessata dal combinato disposto di subsidenza, eustatismo, riduzione degli apporti solidi dei fiumi, ingressione del cuneo salino, mareggiate sempre più invasive.
L’unitarietà della ‘ecoregione’ padana sia sul piano idrografico sia su quello aerologico, che vi si sovrappone perfettamente, il suo valore economico ed incidenza nella produzione di gas climalteranti, contraddistinguono il Bacino del Po come un territorio strategico, da cui sarebbe miope prescindere, per la buona riuscita delle ambiziose e quanto mai necessarie politiche di sostenibilità, di modernizzazione ecologica, di contrasto ai cambiamenti climatici, rilanciate con forza cinque anni or sono dall’Unione Europea con la strategia del “20-20-20”.
E’ cresciuta nel tempo, inoltre, la consapevolezza dell’indispensabilità di un solido quadro d’intese interistituzionali per risolvere i grandi problemi ambientali del Bacino del Po, come attestato dall’importante accordo volontario sottoscritto a Roma, nel 2007, tra le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto, Friuli Venezia Giulia, le Province autonome di Trento e Bolzano e la Repubblica e Cantone Ticino per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento atmosferico.
Ma, per quanto importante sia stato tale accordo, il sisma del maggio scorso e soprattutto la tremenda siccità, che – come già successo ben altre due volte negli ultimi anni – ha compromesso irrimediabilmente anche questa annata agraria, dimostrano inconfutabilmente la sostanziale inefficacia, per le politiche ambientali, delle sinergie istituzionali alla sola scala interregionale.
Infatti, i giganteschi problemi ambientali di una macroarea unitaria, come lo è quella padana, richiedono per la loro complessità soluzioni certamente di respiro interregionale, ma anche e soprattutto di scala nazionale, europea e globale. A partire proprio dalla strategia di sviluppo sostenibile tracciata a Goteborg, nel 2001, dal Consiglio Europeo. In base, poi, al Libro Bianco sulla Governance, hanno preso da tempo l’avvio processi di concertazione tripartita tra Comunità Europea, Stati nazionali ed autorità regionali e locali.
Il Governo centrale e le Regioni del Bacino del Po, anche in vista dell’Expo 2015 di Milano, dovrebbero proporsi quindi un’iniziativa strategica comune che porti al più presto alla stipula di una fondamentale ‘Intesa di Sostenibilità’ con l’Unione Europea, nell’ambito della programmazione strategica delle politiche europee di coesione 2007-2013 e per influire costruttivamente alla definizione di quella successiva 2014-2020.
Tale Intesa di Sostenibilità, al fine di promuovere l’integrazione sostenibile fra un’elevata qualità ambientale e lo sviluppo economico delle Regioni della Pianura Padana, farebbe bene a prevedere le linee generali ed il quadro di riferimento per il coordinamento dei piani e dei programmi socioeconomici, infrastrutturali e insediativi, in corso e il loro eventuale aggiornamento; gli obiettivi generali di sostenibilità, a livello di macroarea, integrando ed eventualmente aggiornando quelli vigenti nelle singole regioni; gli strumenti attivati in coerenza con le linee e gli obiettivi generali; i progetti-obiettivo di area vasta, con eventuali indicazioni di priorità, coordinati con le iniziative in corso; previsioni delle risorse finanziarie necessarie e delle loro coperture regionali, nazionali e comunitarie; le modalità di monitoraggio e di verifica dei risultati.
L’idea forte di una Intesa di Sostenibilità per il Bacino del Po non è nuova. Essa ha fatto parte dei ‘materiali’ presentati alla Conferenza nazionale programmatica dei Democratici di Sinistra svoltasi a Firenze sul finire del 2005. Come tante altre buone idee partorite a favore della sostenibilità, dalla prima Conferenza di Rio ad oggi, essa non ha trovato ancora attuazione perlomeno per un difetto di volontà politica.
Ma è indubbio che, ora, le vicissitudini sismiche e soprattutto climatiche della Pianura Padana ne rilanciano la bontà e la lungimiranza.
Sempre restando in tema di anniversari e di relativi bilanci, come non ricordare pure che sempre vent’anni fa il nostro Parlamento pose il primo mattone delle politiche di sostenibilità di area vasta per il Bacino del Po decidendo, con l’approvazione della legge quadro sulle aree protette, l’istituzione in Italia di un primo parco interregionale proprio nel Delta del Po da incardinare in una necessaria e preventiva intesa tra il Ministero dell’Ambiente e le Regioni Emilia-Romagna e Veneto oppure, in subordine, qualora nell’arco di due anni non ne fossero maturate le condizioni politico-istituzionali, di un parco nazionale.
Si sa che a tutt’oggi quanto previsto dal comma 4 dell’art. 35 della legge dello Stato che tratta della istituzione del Parco Interregionale del Delta del Po è stato totalmente disatteso. Ma è pure utile ricordare a tale riguardo che, cinque anni dopo la sua approvazione e dopo solo sette mesi dall’insediamento del primo governo Prodi, il 27 dicembre 1996, il Ministro all’Ambiente, Edo Ronchi, il Presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, e l’Assessore all’Ambiente della Regione Emilia-Romagna, Renato Cocchi, sottoscrissero il testo, qui in appendice, dell’intesa propedeutica all’istituzione del parco interregionale. Una intesa che, grazie ai suoi realistici e costruttivi contenuti, mantiene inalterata anche a distanza di tempo la sua validità e saggezza.
Infatti, vi si teneva nel debito conto sia il fortunato persistere, nell’area più fragile per antonomasia del Paese, il Delta del Po, di elevatissimi tassi di diversità biologica e del loro peso strategico internazionale, sia della sua forte antropizzazione di lunga e ricca storia e dei complessi problemi di governance che essa comporta.
Così l’intesa prevedeva che il territorio del parco interregionale fosse gestito da specifici Enti Parco regionali, istituiti dalle due Regioni, secondo le competenze e le norme ad essi assegnate dalle rispettive leggi istitutive, in conformità con l’intesa stessa; l’unitarietà e l’armonizzazione della sua gestione venisse garantita da un Comitato di coordinamento comprendente le rappresentanze delle Giunte regionali, dei Parchi regionali e del Ministero dell’Ambiente; la Presidenza del Comitato fosse attribuita ad uno dei rappresentanti delle Giunte regionali secondo una rotazione biennale ad iniziare da quello del Veneto; il perimetro del Parco interregionale fosse individuato dalle due Regioni d’intesa con il Ministero dell’Ambiente; i benefici finanziari statali a favore del parco interregionale fossero parificati a quelli spettanti ai parchi nazionali.
Ma, poi, le Regioni non onorarono, nei tempi preventivati, gli impegni assunti con il Ministro dell’Ambiente. Di lì a poco, il primo Governo Prodi convinto promotore del Parco interregionale cadde anzitempo. Dopo l’istituzione del Parco regionale del Delta del Po sul versante emiliano-romagnolo, se ne istituì un’altro regionale su quello veneto. E così il largo partito trasversale del fare, sempre e comunque, che da qualche anno ha come propria portabandiera l’associazione ‘Italiadecide’ – “apartisan” e ispirata ad un sano “patriottismo repubblicano”, secondo il suo presidente – ha pensato che ciò bastasse ad evitare il coinvolgimento diretto dello Stato nel governo ambientale del Delta e ad accantonare il bisogno di un Parco Interregionale.
Così nell’areale ideale del parco naturale si è via via sovrapposto un parco di altro tipo. Una sorta di parco energetico, il cui vessillo è l’alta ciminiera della centrale termoelettrica di Porto Tolle. La cui riconversione a carbone ‘pulito’, farebbe sul serio piazza pulita della naturalità che permane nei suoi dintorni. Con gravissimo nocumento, tra l’altro, per l’agricoltura, la pesca, il turismo e la diversità biologica dell’area. Di parco in parco, l’ultimo neonato al suo confine – a Ravenna, nei pressi di Mirabilandia – è il parco tematico subdolamente denominato ‘Dune del Delta’. Uno zoo-safari che “si ispira ad una nuova filosofia che propone un rapporto diverso, più lucido e consapevole, tra l’uomo e l’ambiente…tra l’uomo e gli animali”. Con tanto di dromedari, zebre, lama, ibis, struzzi, antilopi e bisonti.
Proprio il contrario di ciò che si sarebbe dovuto e si deve ancora fare per contrastare efficacemente il decadimento ambientale, sociale ed economico della Pianura Padana, di cui soffre soprattutto per la sua intrinseca fragilità il Delta del Po.
A favore della modernizzazione ecologica del Bacino del Po, per misurarsi qui efficacemente con la crisi economica mondiale e le sfide della globalizzazione, c’è ben altro da fare. C’è bisogno, oggi a maggior ragione di ieri, di istituzioni fortemente inclusive, di grande sinergia tra esse, di più Regione, di più Stato, di più Europa. Dalla crisi economica e dallo smarrimento politico che affliggono il Paese si esce solo imparando dagli errori a non ripeterli e innovando in profondità e in ogni direzione. Innanzitutto nella Pianura Padana. Per i tanti motivi qui di necessità solo tratteggiati. L’idea della ‘Intesa per la Sostenibilità del Bacino del Po’ ne è la strada maestra e l’istituzione del Parco Interregionale del Delta del Po il suo inaugurale, più che maturo e indispensabile tratto.
Ripartendo da una base già strutturata, l’intesa preliminare siglata nel dicembre del 1996 dal Ministero dell’Ambiente e dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto. E ponendo finalmente al servizio della salvaguardia della biodiversità e della promozione della sostenibilità la nuova istituzione, pensata al momento solo per Delta del Po, in grado di superare la separatezza dei due attuali Parchi regionali e di potenziarne l’efficenza e l’efficacia gestionale.
La complessità del suo stato – sia fluviale, sia terrestre, sia costiero – la dimensione del suo areale, la ricchezza della propria diversità biologica e la forza della sua antropizzazione porranno il nuovo Parco Interregionale del Delta del Po nella condizione ottimale, all’interno della rete europea delle aree protette, per qualificarsi come straordinario parco-laboratorio in cui affinare, implementare e innovare le migliori strategie per conservare il futuro alla Terra e alle generazioni che verranno.
Appendice
MINISTERO DELL’AMBIENTE
REGIONE EMILIA-ROMAGNA REGIONE VENETO
Dichiarazione congiunta
All’atto della sottoscrizione dell’intesa per l’istituzione del Parco interregionale del Delta del Po, le Regioni Veneto ed Emilia-Romagna ed il Ministero dell’Ambiente – fatte salve le decisioni collegiali del Governo cui sono demandate le scelte definitive – concordano:
a) sulla necessità che gli impianti di produzione di energia elettrica presenti nel territorio del Parco del Delta del Po siano convertiti a gas metano o altri combustibili a basso impatto ambientale, attraverso piani di conversione presentati agli Enti parco delle due Regioni. Tali conversioni si potranno realizzare di concerto con il Ministero dell’Industria anche attraverso conferenze di servizi con la partecipazione di Regioni, Enti Locali ed aziende interessate;
b) sulla esigenza di dare adeguata soluzione ai problemi posti dalla presenza di aree demaniali e di poligoni militari nel parco interregionale, ricercando la possibilità di localizzazioni alternative esterne al parco stesso;
c) sulla opportunià che le aree demaniali dello Stato, ed in particolare le riserve naturali statali, rientranti nel territorio del parco interregionale possano, su loro specifica richiesta, essere trasferite alle Regioni al fine di giungere ad una gestione integrata con le restanti parti del parco.
Il Ministro dell’Ambiente
Edo Ronchi
p. Il Presidente della Giunta Regionale Il Presidente della Giunta Regionale
dell’Emilia-Romagna del Veneto
Renato Cocchi Giancarlo Galan
27 dicembre 1996
LE REGIONI EMILIA-ROMAGNA E VENETO ED IL MINISTERO
DELL’AMBIENTE
VISTO l’art. 10 della Legge 28.08.1989, n.305 “Programmazione triennale per la tutela dell’ambiente”, il quale individua il Parco del Delta del Po tra i parchi nazionali da istituire;
VISTO l’art. 35, comma 4, della Legge 6.12. 1991, n. 394;
VISTO il Decreto Legge 23 ottobre 1996, n.548 che all’art. 6 stabilisce che il termine di cui all’art. 35, comma 4, della Legge 6 dicembre 1991, n. 394 è differito al 31 dicembre 1996;
VISTA la Legge della Regione Emilia-Romagna n. 27 del 2.07.1988 e successive modifiche, che ha istituito il Parco Regionale del Delta del Po il cui perimetro è determinato dai piani territoriali delle Stazioni, in corso di approvazione, ai sensi della legge regionale n. 11/1988 e successive modificazioni;
VISTO il Piano d’area del Delta del Po, approvato con provvedimento del Consiglio Regionale della Regione Veneto del 5 ottobre 1994, n. 1000, pubblicato sul bollettino ufficiale della Regione Veneto n. 101 del 29.11.1994;
DATO ATTO che la Regione Veneto si impegna ad approvare entro il 30 giugno 1997 la legge di istituzione del Parco regionale del Delta del Po.
CONCORDANO
sulla presente intesa avente per oggetto la istituzione del Parco interregionale del Delta del Po.
ART. 1
Parco interregionale
E’ istituito il Parco interregionale del Delta del Po.
Il territorio del parco interregionale è gestito da specifici Enti Parco regionali, istituiti dalle due Regioni, secondo le competenze e le norme ad essi assegnati dalle rispettive leggi istitutive.
L’unitarietà della gestione è garantita dal Comitato di coordinamento interregionale di cui al successivo articolo.
ART. 2
Assetto istituzionale (Comitato di coordinamento)
E’ istituito il Comitato di coordinamento, di seguito indicato “Comitato”, composto da un rappresentante della Giunta Regionale del Veneto ed uno della Giunta Regionale dell’Emilia-Romagna, da un rappresentante di ciascuno degli Enti Parco regionali e da un rappresentante del Ministero dell’Ambiente.
La Presidenza del Comitato viene attribuita ad uno dei rappresentanti delle Giunte Regionali secondo una rotazione biennale ad iniziare da quello della Giunta Regionale del Veneto.
Il Comitato di coordinamento:
- delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti;
- riceve, di volta in volta, il necessario supporto logistico dall’Ente Parco della Regione di cui è espressione pro-tempore il Presidente del Comitato;
- elabora, sulla base degli elementi forniti dai due Enti Parco regionali ed in conformità a quanto previsto dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394 indirizzi e criteri omogenei diretti:
1) – per il regolamento del Parco:
I) a disciplinare:
– la tipologia e le modalità di costruzione di opere e manufatti;
– lo svolgimento delle attività artiginali, commerciali, di servizio, agro-silvo-pastorali e della pesca;
– il soggiorno e la circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto;
– lo svolgimento di attività di ricerca scientifica e biosanitaria;
– lo svolgimento di attività sportive, ricreative ed educative;
– i limiti alle emissioni sonore, luminose o di altro genere, nell’ambito della legislazione in materia;
– lo svolgimento delle attività da affidare a interventi di occupazione giovanile, di volontariato, con particolare riferimento alle comunità terapeutiche e al servizio civile alternativo;
– l’accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani;
II) a vietare:
– la cattura, l’uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta e il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastorali, nonché l’introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possono alterare l’equilibrio naturale;
– l’apertura e l’esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l’asportazione di minerali;
– la modificazione del regime delle acque;
– lo svolgimento di attività pubblicitarie al di fuori dei centri urbani, non autorizzate dagli Enti Parco regionali;
– l’introduzione e l’impiego di qualsiasi mezzo di distruzione o di alterazione dei cicli biogeochimici;
– l’introduzione, da parte di privati, di armi, di esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura se non autorizzati;
– l’uso di fuochi all’aperto;
– il sorvolo di veicoli non autorizzato, salvo quanto definito dalle leggi sulla disciplina del volo;
2) – Per il piano del parco:
I) a disciplinare i seguenti contenuti:
– organizzazione generale del territorio e sua articolazione in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela;
– vincoli, destinazioni di uso pubblico o privato e norme di attuazione relative con riferimento alle varie aree o parti del piano;
– sistemi di accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi, accessi e strutture riservati ai disabili, ai portatori di handicap e agli anziani;
– sistemi di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, musei, centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività agro-turistiche;
– indirizzi e criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull’ambiente naturale in genere;
II) a suddividere il territorio del parco in base al diverso grado di protezione, dalle zone di protezione integrale e orientata, alle zone di protezione compatibili con le attività agro-silvo-pastorali, di pesca e artigianali fino alle zone di promozione economico-sociale;
3) – A disciplinare il rilascio dei nulla-osta relativi a concessioni o autorizzazioni
per interventi, impianti ed opere all’interno del Parco;
4) – Per il piano economico-sociale a disciplinare:
- la concessione di sovvenzioni a privati ed enti locali, la predisposizione di attrezzature, impianti di depurazione e per il risparmio energetico, servizi ed impianti di carattere turistico, naturalistico da gestire in proprio o da concedere in gestione a terzi sulla base di atti di concesione;
- l’agevolazione o la promozione, anche in forma cooperativa, di attività tradizionali, artigianali, agro-silvo-pastorali, culturali, servizi sociali e biblioteche, restauro, anche di beni naturali e ogni altra iniziativa atta a favorire, nel rispetto delle esigenze di conservazione del parco, lo sviluppo del turismo e delle attività locali connesse; una quota parte di tali attività deve consistere in interventi diretti a favorire l’occupazione e il volontariato, nonché l’accessibilità e la fruizione in particolare per i portatori di handicap;
- la concessione, a mezzo di specifiche convenzioni, dell’uso del nome e dell’emblema del parco a servizi e prodotti locali che presentino requisiti di qualità e che soddisfino le finalità del parco;
- l’organizzazione di speciali corsi di formazione con il rilascio del titolo ufficiale di guida del parco.
- esprime parere in merito alla conformità del regolamento, del piano del parco, del piano di sviluppo socio-economico e dei piani e degli altri strumenti di promozione, programmazione e gestione del Parco agli indirizzi e alle direttive di cui al precedente punto c).
Ciascuno degli Enti Parco regionali predispone, per la parte di propria competenza, il regolamento, il piano del Parco, il piano di sviluppo socio-economico e gli altri strumenti di promozione, programmazione e gestione del parco, in conformità agli indirizzi e alle direttive elaborate dal Comitato di coordinamento.
Detti strumenti sono approvati dalle singole Regioni secondo le modalità indicate dalle legislazioni regionali.
Il Comitato di coordinamento si esprime sugli strumenti suddetti preliminarmente alla loro approvazione regionale.
In caso di inerzia del Comitato nella sua iniziativa o delle Regioni nell’adozione degli atti di loro competenza, si segue il procedimento sostitutivo, di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 12 della legge 6 dicembre 1991, n. 394.
ART. 3
Obiettivi e finalità
Il Parco interregionale viene istituito al fine di coordinare e promuovere le azioni degli Enti Parco regionali e degli altri soggetti interessati, volte a conseguire una unitaria organizzazione della tutela dell’intero sistema territoriale del Delta del Po, valorizzarne la rilevanza naturalistica di interesse nazionale e internazionale, attuare gli obiettivi propri delle aree protette volti alla conservazione e valorizzazione del patrimonio naturalistico e alla contestuale promozione dello sviluppo sostenibile delle attività economiche e insediative.
ART. 4
Perimetro del Parco
Il perimetro del Parco interregionale del Delta del Po sarà individuato, tenuto conto delle aree regionalmente protette e delle zone di importanza naturalistica nazionale e internazionale, dalle Regioni Veneto ed Emilia-Romagna entro il 30 giugno 1997, d’intesa con il Ministero dell’Ambiente.
Il medesimo procedimento si segue per le modifiche del perimetro del Parco.
ART. 5
Misure provvisorie di salvaguardia
Per il territorio dell’Emilia-Romagna, fino all’adeguamento agli indirizzi di cui al precedente articolo 2 con le procedure previste dal medesimo articolo, costituiscono misure di salvaguardia le disposizioni del Piano territoriale paesistico regionale approvato con D.C.R. n. 1338 del 28.01.1993 ed i Piani territoriali delle Stazioni del Parco regionale del Delta del Po.
Per il territorio del Veneto fino all’approvazione della legge istitutiva del Parco Regionale si applicano le norme del Piano d’Area del Delta del Po e le norme di cui al Provvedimento del Consiglio Regionale del Veneto n. 1000 del 5 ottobre 1994, pubblicato sul B.U.R. n. 101 del 29 novembre 1994.
Nell’ambito del perimetro del Parco interregionale del Delta del Po è vietata l’attività venatoria. Sono consentiti i prelievi faunistici di cui all’art.11, comma 4 della legge 6 dicembre 1991, n. 394.
Le Regioni Veneto ed Emilia-Romagna si impegnano a realizzare gli obiettivi di piena tutela delle aree sensibili poste dalle normative nazionali ed internazionali. Tali obiettivi oltre che attraverso le azioni e disposizioni del parco, potranno essere perseguiti anche mediante altre idonee iniziative nazionali o regionali.
ART. 6
Impegni
Le Regioni si impegnano:
– a coordinare le proprie azioni al fine di conseguire una unitaria organizzazione e gestione del sistema territoriale del Parco interregionale del Delta del Po, in grado di garantire la tutela e la valorizzazione dell’ambiente naturale e storico del delta padano, nonché recuperi ambientali di parti alterate, garantendo nel contempo lo sviluppo socio-economico delle popolazioni interessate;
– a quantificare i fabbisogni finanziari, sulla base di una stima dettagliata relativa a:
a) avvio delle attività;
b) la realizzazione di primi interventi di riqualificazione ambientale (ivi compresa l’eventuale acquisizione di aree di particolare pregio naturalistico) e di valorizzazione e fruibilità delle aree (ivi compresa la realizzazione delle infrastrutture necessarie);
c) le prime iniziative di promozione economica e sociale;
d) l’avvio di programmi di educazione e informazione;
e) l’attuazione di un Programma straordinario di investimenti.
Il Ministro dell’Ambiente si impegna:
– a proporre l’iscrizione del Parco interregionale nell’Elenco Ufficiale delle aree naturali protette, categoria aree naturali protette nazionali, ai fini dell’assegnazione di fondi relativi ai Programmi triennali per le aree naturali protette per far partecipare il Parco interregionale del Delta del Po alla quota di finanziamenti riservata alle aree protette nazionali;
– a consentire ai Comuni ricadenti entro i confini del Parco di accedere ai benefici previsti dalle leggi nazionali, dal Reg. CEE 2052/88 e successive modifiche ed integrazioni e da altri Regolamenti comunitari;
– nell’assegnazione delle risorse previste direttamente dalla legge del 6 dicembre 1991, n. 394, o da altre leggi di spesa, ad applicare i principi e le disposizioni dell’articolo 7 della legge medesima assegnando al Parco interregionale priorità corrispondente a quella dei parchi nazionali per le spese di investimento per progetti;
ART. 7
Efficacia dell’intesa
La presente intesa si considera priva di ogni efficacia qualora entro il 30.6.97 il perimetro del Parco non venga definito ai sensi dell’art. 4 e qualora, entro il successivo termine di 120 giorni, non siano state emanate le leggi regionali istitutive del Parco interregionale del Delta del Po, in conformità con l’intesa stessa.
p. Il Presidente della Giunta Regionale Il Presidente della GiuntaRegionale
della Regione Emilia-Romagna della Regione Veneto
Renato Cocchi Giancarlo Galan
Il Ministro dell’Ambiente
Edo Ronchi
27 dicembre 1996
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