Paola, Mohamed, Zakaria, Arcanfgelo. Combattere il caporalato si può: serve un patto tra produttori e consumatori
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da: Stefano Calderoni, Presidente Provinciale C.I.A. Ferrara
“I care” letteralmente mi sta a cuore era la frase scritta da Don Milani su un cartello all’ingresso della scuola di Barbiana per evidenziare l’orientamento educativo alla presa di coscienza civile e sociale. Quindi dobbiamo gridare “I care” anche nel caso di Paola, Mohamed e Zakaria e Arcangelo quest’ultimo in coma dopo essere stato colpito da infarto nelle campagne del nord-barese mentre lavorava in una vigna, sotto un tendone, durante le operazioni di acinellatura.
Quattro storie diverse accomunate da un unico tragico destino.
Certo la vita nei campi è da sempre associata ad una narrazione di fatiche, sacrifici e sofferenze ma non è umano il bollettino di vite spezzate delle ultime tre settimane.
Quelle che vengono dal sud sono storie di caporalato, di sfruttamento, di condizioni di lavoro assolutamente inaccettabili che da un po’ di tempo non riguardo più solo migranti ma ormai è una piaga che coinvolge a pieno titolo anche donne italiane.
Negli ultimi mesi è emerso anche da una inchiesta di Repubblica che i caporali preferiscono le donne italiane agli uomini stranieri, poichè i secondi, dopo i fatti di Nardò del 2011, hanno imparato a ribellarsi quando le condizioni di lavoro diventano molto pesanti.
Dopo la denuncia delle tre morti, i ministeri del Lavoro e delle Politiche Agricole promettono una stretta sui controlli contro il caporalato.
Il Ministero delle politiche agricole ha inoltre chiesto la convocazione urgente della Cabina di regia della “Rete del Lavoro agricolo di qualità”. Con la Rete, introdotta con il provvedimento Campolibero e operativa da febbraio, per la prima volta in Italia si è creato un coordinamento per il contrasto dello sfruttamento nel lavoro agricolo, avviato un percorso di semplificazione e istituita una certificazione delle aziende agricole in regola, aumentando i controlli su quelle non iscritte alla Rete stessa.
Purtroppo iniziative meritorie ma che rischiano di essere meramente formali se non sono accompagnate da un profondo cambio culturale nel paese.
Voglio essere esplicito i primi a pagare il prezzo dell’illegalità siamo proprio noi agricoltori che operiamo rispettando le norme: subiamo la concorrenza sleale dei malfattori che sfruttando la forza lavoro si possono permettere di immettere sul mercato beni a prezzi più bassi dei costi di produzione.
Serve pertanto un cambio di rotta a partire da un sistema di tracciabilità e certificazione che aiuti il consumatore a distinguere tra produttori “buoni e cattivi”, una certificazione etica seria ed oggettiva.
I cittadini non possono pretendere di aver sul banco del supermercato generi alimentari a prezzi stracciati e allo stesso tempo credere che siano sinonimo di qualità e legalità.
La sfida verso un nuovo modello di produzione sostenibile riguarda anche Ferrara ed è una scommessa su cui dovremmo investire tutti, istituzioni, sindacati, cooperative, singole imprese e cittadini con l’obbiettivo di costruire modelli virtuosi che siano anticorpi alla piaga dello sfruttamento e delle morti sul lavoro.
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